che confusione

Emergenza coronavirus, caos decreti del governo

Pietro De Leo

Paghiamo tante cose, in questa crisi. Una su tutte, la grammatica dei testi normativi. E’ accaduto per la seconda volta in pochi giorni. Dopo gli annunci roboanti dei Dpcm da parte del Presidente del Consiglio Conte, puntualmente parte il rovello collettivo sul dettaglio. Va bene che il titolo di tutto è “resto a casa”, si diceva lunedì, ma le famose eccezioni per motivi di utilità, lavoro o salute, dove e come si applicano? Lo stesso dubbio vale su molte categorie di esercizi commerciali che possono o meno restare aperti, secondo l’aggiornamento dell’altroieri sera. Perché, in fin dei conti, questo è l’effetto collaterale del modus operandi scelto, del “passo dopo passo”: aggiornare regole di condotta di volta in volta porta maggiore difficoltà che esse vengano acquisite, si crea confusione e i cittadini rischiano di incorrere in comportamenti sbagliati. Specie in un tessuto sociale come il nostro, non proprio avvezzo a gestire il panico e le situazioni di emergenza. Lo abbiamo visto quando era stata fissata la sorta di “zona arancione” per tutto il Paese. Nessuno aveva parlato di chiusura supermercati, tuttavia molti cittadini, nei minuti seguenti all’annuncio di Conte, avevano preso d’assalto i supermercati. Perché, al di là dell’impatto mediatico di una novità, quando ci si cala nelle piccole-grandi dinamiche quotidiane esistono tante domande che necessitano di una risposta. Ed ecco che i provvedimenti attuati non riescono a spiegare tutto, e hanno bisogno di supporti ulteriori. Le “faq” della presidenza del Consiglio, le slide del Ministero dell’Interno, le circolari interpretative oppure le spiegazioni via stampa del Capo della Protezione Civile. E nemmeno questo, talvolta, è sufficiente a far capire. Prendiamo il caso dell’uscita da casa. Una delle domande che serpeggiavano nelle famiglie era se fosse possibile fare una passeggiata. E qui si apre un groviglio. Perché il provvedimento del 10 marzo dice che bisogna restare a casa. E però nelle successive slide del ministero dell’interno, al punto 10, si sancisce la possibilità di fare “sport e attività motoria all’aperto” rispettando la canonica distanza di un metro. Dunque è possibile uscire? La passeggiata almeno pare salva, se condotta con giudizio. In ogni caso, molto ruolo hanno i controlli delle Forze dell’Ordine. Sul punto, ha parlato ieri il capo della protezione civile Borrelli. "La regola principale –ha detto ieri- è mantenere le distanze anche in famiglia. Poi le Forze dell'Ordine faranno le loro valutazioni, se si chiede di non uscire meglio non uscire, poi portare fuori il cane si può, si devono sempre evitare gli assembramenti. Un po' di prudenza fa bene a tutti”. Parole che sembrano far trapelare un certo margine di discrezionalità da parte degli uomini in divisa che pattugliano le strade. Discrezionalità che è il contrario di una norma fissata e assoluta. Altro punto, i negozi. Ieri Confesercenti ha diramato una lunga nota in cui traccia un elenco di una “zona grigia” non chiarita dall’ultimo provvedimento: “rimangono dubbi da chiarire sulle attività delle agenzie di viaggio, sulle imprese di ristorazione non esplicitamente non nominate nel decreto, sui servizi d’asporto in loco e a domicilio, sulle attività recettive con annesso servizio di ristorazione, come anche per i bar che vendono tabacchi e ancora molti casi”. E poi c’è un’apparente contraddizione. Se il decreto della “zona arancione” prevedeva la chiusura dei centri commerciali nel week end, il decreto dell’altra sera fa salva l’apertura, tra le varie categorie, per negozi che effettuano vendita di computer e telefonini. Che in molti casi si trovano proprio nei centri commerciali. Ancora molto da capire, insomma, in un groviglio di quotidianità che le norme, purtroppo, finiscono per rendere ancor più complesso.