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Luigi Di Maio, Paragone dà il colpo di grazia: chi è il vero traditore

Gianluigi Paragone

ll Movimento che nacque nelle piazze animato da parole nette, radicali e antisistema, parla di futuro in una sala confortevole, chiusa, arredata per un colpo di scena stra-spoilerato, con parole acrobatiche come «facilitatori». Il futuro è un’ipotesi, è un salto nel buio perché erode ciò che il Movimento era stato. Non c’è bisogno della zingara per decriptare il futuro del Movimento: sarà una forza europeista e riformista, quindi inutile. E lo dico con dolore. Il famoso 33% non tornerà più perché non c’è più una offerta politica capace di illuminare le ingiustizie che il riformismo neoliberista ha generato. Le ingiustizie contro cui si scagliò il Movimento erano il prodotto malefico di una stagione tossica, tecnica e politica, dove le insegne del Pd erano costanti. Ora il Pd fa da fratello maggiore. "Less is more", dicono gli inglesi. Di Maio ha dovuto scriversi un testo lungo un’ora per terminare una seduta psicanalitica, individuale e collettiva nello stesso tempo. La crisi del capo politico si sovrappone alla crisi del Movimento stesso, angosciato dai «traditori» più che illuminato dai facilitatori. Nessuno però ha tradito più di chi in due anni ha spento una speranza e dilapidato un patrimonio di consensi. Chi dovesse prendere in mano il Movimento sa che la strada è segnata, che la mappa non prevede altre rotte se non quella dello schiacciamento a sinistra. Eppure lo spazio antagonista c’è, oltre un centrodestra in bilico tra citofoni e Mario Draghi, e oltre un centrosinistra partner dell’establishment.