antisemitismo

È una trappola politica la mozione sul razzismo

Franco Bechis

C’è una buon a dose di malafede e di ideologia politica (sempre legittima se riconosciuta) nel linciaggio collettivo cui è stato sottoposto ieri il centrodestra per il semplice fatto di essersi astenuto in Senato sulla mozione di maggioranza a prima firma Liliana Segre per proporre «l’istituzione di una commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza». A parte il fatto banale per cui astenersi non è opporsi, al voto del Senato sulla stessa identica questione c’erano non una, ma quattro mozioni diverse. E tre sono state bocciate con il no di tutti quelli che oggi si indignano: una di Forza Italia, una della Lega e una di Fratelli di Italia. Tutte e tre avevano premesse un po’ diverse, ma poi portavano a costituire la stessa identica commissione con qualche avvertenza per altro di buon senso, perché in strumenti-bandiera di questo tipo che di solito contano come un fico secco c’è il rischio però di farsi prendere la mano e con la scusa dell'odio o del razzismo limitare severamente libertà di espressione più che consentite dalla nostra Costituzione. Ora la libertà di pensiero e politica è così importante, che non si può accettare il linciaggio andato in scena ieri su media e agenzie. Così come è inaccettabile che qualche genio salti su in parlamento apostrofando con insulti stupidi più ancora che razzisti un deputato Pd come Emanuele Fiano che si accusa di essere ebreo. Bene, sono ebreo anche io fiero delle mie origini anche se sono stato educato e sono cresciuto da cattolico osservante. E quindi fischio e darei un bel scappellotto a chi in una giornata così ha avuto la bella idea di dire sciocchezze su Fiano. Ma quel linciaggio scientifico per l’astensione sulle mozioni è ben più grave di qualche scemata urlata anche in aula. Perché questo sì è atto illiberale che getta ombre pesanti su chi ha controfirmato e dato sostegno alla mozione della Segre. Gli slogan anche buonisti che debbono andare bene per tutti esistono nelle dittature, non nelle democrazie liberali, ed è dittatura imporre con tanta violenza il pensiero unico a chicchessia, poi linciandolo perché non vi aderisce. È anche segno di malafede, perché li avesse avuta buona non avrebbe imposto slogan da prendere o lasciare, ma avrebbe cercato un accordo con le minoranze ( si rispettano anche quelle parlamentari) per giungere a un testo condiviso, se questo era l’obiettivo politico. Non è accaduto così, perché c’era un intento muscolare che non vedeva protagonista ovviamente la senatrice a vita Segre, ma chi l’accompagnava. Non volevano una scelta condivisa, ma accusare di razzismo le minoranze impiccate a qualsiasi loro distinguo. Bene, siccome a me degli uni e degli altri frega assai poco e personalmente di questo tipo di commissioni parlamentari ho la massima storica disistima, vado al sodo: «l’odio» è arma a doppio taglio, che può stralciare zizzania ma anche erba finita lì in mezzo e che semplicemente da fastidio perché non è la tua. Nessun paese del mondo ha definito con esattezza giuridica quello che chiamano «hate speech», perché è impossibile farlo senza mettere a rischio i principi di libertà su cui si fondano le regole e le costituzioni dei nostri paesi. Per questo andrei molto piano a normare questi temi, perché si rischiano danni seri alla libertà, assai più seri di quelli provocati da qualche idiota che dice cose senza senso. Cose è odio e razzismo da punire magari con pene assai elevate (questo sarebbe il lavoro della commissione)? Il codice penale oggi evidenzia già numerose fattispecie, perseguite con severità. Ma se ne vogliono aggiungere altre. E allora, mettiamo nel mirino i cittadini di un quartiere che stufi di essere depredati in casa e per strada ogni giorno chiedono con manifestazioni pubbliche o in gruppi sui social network di spostare da lì quel campo nomadi la cui presenza ha tanto cambiato la loro vita quotidiana? Temo di sì, ed è un rischio che non voglio correre. Perché non è l’odio in sé che si vuole perseguire, ma quello che una parte (oggi maggioranza in Parlamento) definisce odio ed è sicura che sia odio. Io ho visto linciare, tanto per dirne una, con frasi grondanti odio (non importa quanto condiviso) gli organizzatori dei vari family day o pro life, che si vorrebbe non avessero nemmeno diritto di parola ritenendo quella parola non lecita. Mi preoccupa quella commissione perché nasce a colpi di maggioranza con questo cappello ideologico immotivato: vorrei sapere ad esempio perché non hanno votato la mozione di Forza Italia a cui è difficile fare un appunto di qualsiasi tipo. E allora temo che ci sia dietro un’operazione ideologica che si ripara dietro lo schermo falso dell’antisemitismo per limitare libertà di pensiero e di movimento politico altrui: questo si può dire perché sacrosanto, su quello non ti azzardare o ti sbatto dentro. Questo metodo di decidere a maggioranza per eliminare i diritti della minoranza, accusandola pure di illecito pensiero diverso, è da regimi totalitari, non da democrazie liberali. Posso dirlo? Quel linciaggio di ieri è davvero un po’ fascista, nel senso deteriore del termine.