LA RIVOLTA DEI MANDARINI

Pubblica amministrazione: «La riforma Madia non va Lo sa anche lei»

Filippo Caleri

«L’esecutivo. sulla riforma della dirigenza, non ha ancora fatto nessun passo ufficiale. Ma il ministro Marianna Madia ha preso atto che così com’è rischia di creare il Far West, dove prevale la logica che chi ha più appoggi politici riesce ad esercitare le funzioni dirigenziali». A dirlo a Il Tempo è Roberto Alesse, rappresentante del Comitato dei dirigenti pubblici per la difesa degli articoli 97 e 98 della Costituzione e dirigente generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha parlato del problema con Il Tempo qualche settimana fa. Cosa è cambiato nei rapporti tra il comitato e e il governo? «Nulla. Nessuna apertura ufficiale da parte dell’Esecutivo. Tuttavia, lunedì scorso, nel corso di un incontro con il Ministro Madia, abbiamo apprezzato la sua consapevolezza sul fatto che il progetto di riforma presenta non pochi aspetti critici che vanno risolti se non si vuole che l’amministrazione pubblica diventi un Far west nel quale prevale la logica che chi ha più appoggi politici riesce ad esercitare le funzioni dirigenziali che, a legislazione vigente, non possono essere compresse oltre misura». Il governo ha gradito la nascita di un comitato dei dirigenti pubblici? Lo ritiene di natura corporativa? «Non so rispondere. Vedo solo che alcuni dei suoi esponenti ci osservano, ci scrutano, forse non si aspettavano una reazione così ferma e improvvisa». Avete proclamato, insieme ad altre sigle sindacali, uno sciopero il prossimo 24 ottobre? Vuol dire che la situazione generale resta bloccata? «Bisogna riconoscere al Governo che questo provvedimento di riforma della dirigenza pubblica, per molti aspetti ingiusto, ha avuto il merito di far nascere uno spirito corporativo tra tutta la nostra categoria che mai, prima di ora, si era manifestato. Quanto alle ragioni dello sciopero, e lo dico da ex Garante, va detto che queste, allo stato dell'arte, sono sacrosante. La riforma va modificata, dal momento che, per come è scritta in alcuni punti nevralgici, ha una portata talmente rivoluzionaria che scuote le fondamenta della pubblica amministrazione con esiti imprevedibili». Ma Renzi conosce i contenuti del decreto legislativo approvato lo scorso 25 agosto? «Bella domanda! Il testo, che non contiene, ad esempio, la clausola di salvaguardia delle posizioni giuridiche ed economiche maturate nel tempo dai dirigenti, è destinato ad infrangersi alla prima occasione utile. Chi ha redatto materialmente il decreto legislativo (e sappiamo che la Funzione Pubblica c'entra fino a un certo punto) si è assunto una responsabilità di non poco conto: da un punto di vista strettamente giuridico c’è un limite a tutto». A che cosa allude, in particolare? «Alla necessità di richiamare in vita, nel provvedimento, il diritto soggettivo pieno, in capo ad ogni dirigente, ad essere titolare di un posto di funzione, se non si dimostra, prove alla mano, che il dirigente abbia demeritato nella precedente esperienza amministrativa». I segnali che arrivano dal Consiglio di Stato e dalle Commissioni parlamentari sembrerebbero positivi. «Lo vedremo nei prossimi giorni. Siamo stati recentemente auditi in Commissione Affari costituzionali alla Camera, dove alcuni parlamentari, a partire dalla relatrice, hanno responsabilmente manifestato la loro preoccupazione». Come se ne esce? «Recuperando la ragione di Stato e la capacità di mediazione politica. Solo così si possono armonizzare i rapporti istituzionali tra la pubblica amministrazione e il Governo».