Verona e la ’ndrangheta Bindi spedisce gli 007

Potrebbe essere Verona la prima città del Veneto a finire sotto la lente d’ingrandimento di una commissione d’accesso che passi al vaglio l’attività amministrativa, per verificare eventuali "vicinanze" dell’amministrazione con il crimine organizzato: in questo caso le cosche di ‘ndrangheta che, da anni ormai, sono presenti in città. A innescare la bomba del possibile invio degli 007 prefettizi è stata la presidente della commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi che, a margine della conferenza stampa sulla "visita" della commissione in Veneto ha detto che la commissione è pronta a «chiedere alla Prefettura e al Comitato per la sicurezza di rivalutare la possibilità di nominare una commissione d’accesso per il Comune di Verona». Secondo la parlamentare (eletta in collegio blindato proprio in Calabria) la città del sindaco Flavio Tosi (già protagonista della scissione tra la Lega di Salvini e la Liga veneta) sarebbe «un punto di fragilità nella Regione dal punto di vista delle infiltrazioni. Alla luce delle ultime acquisizioni dell'indagine Aemilia - ha detto ancora la Bindi - ci sono elementi anche per valutare fatti pregressi che acquistano una luce diversa». Verona non è nuova a rumors attorno al sempre maggiore attecchimento della criminalità organizzata nel proprio tessuto economico e sociale. L’unico rappresentante veneto della commissione antimafia Alessandro Naccarato (anche lui in forza al Pd) ha rincarato la dose ricordando come «costa meno ed è più utile prevenire. Le mafie sparano meno e corrompono di più e sanno penetrare nel tessuto dell'economia e ci sono reati spia che richiedono coordinamento per capire il nesso con i metodi mafiosi. La Lombardia - ha concluso Naccarato - ha pagato caro il negazionismo di alcuni anni fa». Se davvero la commissione d’accesso venisse inviata a Verona, gli ispettori metterebbero le mani su tutte le delibere licenziate negli ultimi anni dalla giunta Tosi, con particolare riguardo agli appalti finiti ad aziende che potrebbero essere in odore di mafia, anche considerando il fatto che alcune misure interdittive nei confronti di alcune società sono già state emesse dalla Prefettura. Verona poi non è nuova a retate e arresti (anche eccellenti). Vito Giacino infatti, braccio destro e vice sindaco di Tosi, è stato condannato in primo grado (assieme alla moglie) a 5 anni di reclusione. Le indagini che portarono alla condanna dell’ex vice sindaco (che si dimise quando la notizia della sua iscrizione al registro degli indagati divenne di dominio pubblico) fecero emergere anche i lavori di ristrutturazione della casa di Giacino che furono effettuati dalla Soveco (la stessa società che riuscì ad accaparrarsi diverse commesse pesanti proprio dall’amministrazione scaligera). Ed è proprio sulla Soveco che si concentra l’attenzione degli inquirenti. Tra i dipendenti della società infatti risulta Antonino Papalia (con un casellario giudiziale che va dal possesso di armi, all’associazione a delinquere, fino allo spaccio di sostanze stupefacenti) che è il marito della socia di maggioranza della società stessa. A chiudere il cerchio poi anche le recenti indagini legate all’operazione "Aemilia" condotta dai Ros su disposizione della distrettuale antimafia di Bologna. In seguito all’indagine furono arrestati sei presunti ndraghetisti a Verona: personaggi che, in qualche modo avrebbero avuto contatti con la giunta veronese. Dal canto suo Tosi si è detto tranquillo, commentando come «La Commissione presieduta dalla signora Rosy Bindi - ha spiegato Tosi - deve pur simulare una sua qualche utilità, ma non pare stia riuscendo nell'impresa».