Perizie psichiatriche e calibro 38 Alla Marranella tramonta il boss
Sono le ore 14 del 10 novembre 2001, quando Giuseppe "Pinocchietto" Carlino, 43 anni, boss di spicco della Banda della Marranella, assieme ai fratelli Francesco e Calogero, si è appena fermato davanti al cancello della villetta sul lungomare delle Meduse, allo stabilimento Marechiaro beach, dove vive con la famiglia a Torvaianica. Di rientro dal Centro d'igiene mentale di Anzio, dove si reca tre volte a settimana per visite autorizzate da quando, tre mesi prima, ha lasciato il carcere di Rebibbia, come spesso capita ai malfattori di rango, per un «esaurimento nervoso» prima di rincasare è passato dalla stazione dei carabinieri per la «firma». La madre, dopo avergli aperto il cancello col telecomando, si affaccia, lo vede e lo saluta. Di lì a pochissimo irrrompono i sicari. Due persone a bordo di una Fiat Croma, affiancano la vittima alla guida di una Lancia Y10 e la freddano a revolverate. Carlino, un anno prima, era stato rintracciato dall'Interpol a Fuengirola, vicino a Malaga, ed estradato in Italia, per scontare una condanna a dieci anni per traffico internazionale di stupefacenti. Come si è detto, però, il 10 luglio precedente, gli erano stati accordati gli arresti domiciliari, sospesi, per altro, appena una settimana prima dell'omicidio e sostituiti con l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. In epoca ormai remota, aveva anche intrattenuto rapporti con la Banda della Magliana: il 16 marzo del 1989, era stato ucciso ad OstiaEdoardo Toscano detto "Operaietto" e, ferito Bruno Tosoni; i sospetti si erano concentrati su Enrico De Pedis e, in genere, sui componenti della fazione del Testaccio. Si accertò che due giorni prima di quell'omicidio, lo stesso De Pedis, De Tomasi ’o Chiattone, Giuseppe Scimone, Salvatore "er Tartaruga" Sibio e "altri due pregiudicati (Rolando Tramontano e, per l'appunto, Giuseppe Carlino) avevano tenuto una riunione nel locale notturno Jackie'O. Stretti, peraltro, erano stati i rapporti tra il gruppo aggregatosi attorno ai fratelli Carlino e il clan facente capo a Michele Senese, noto anche come Michele 'o Pazzo, a causa, ça va sans dire, del reiterato abuso di perizie psichiatriche, platealmente smentite da più recenti e rigorosi accertamenti. Nato ad Afragola, ma trapiantato a Roma da decenni, divenuto qualcuno nel mondo della criminalità organizzata all'epoca della guerra camorristica tra il clan dei Cutoliani e la Nuova Famiglia, Senese era già vicino alla Maglianatanto da diventare personaggio di primo piano come narcotrafficante grazie ai rapporti intessuti nel tempo con svariate famiglie mafiose, dalla Crocifisso Rinziville di Gela, a quelle palermatine dell'Acquasamta e di Santa Maria del Gesù, fino al clan dei Pagnozzi di San Martino Valle Caudina, nell'avellines,. I rapporti fra il clan Carlino e il clan Senes, si sono, però, andati deteriorando al punto che Pinocchietto e il fratello Francesco sono stati condannati per concorso nell'omicidio di Gennaro Senese, fratello di Michele 'o Pazzo, passato alle cronache come l'"omicidio in diretta": i baschi verdi del Goa della Guardia di Finanza, che intercettano da mesi le conversazioni in casa di Francesco Carlino, in via Cornelio Sisinna, non avrebbero mai pensato di ascoltare, il 16 settembre 1997, le grida di «Doppio Sorriso», mentre viene sgozzato, vuoi per motivi passionali vuoi per una partita di droga non pagata; Gennaro è infatti accusato di essere l'amante della moglie di Franceso, Cristina; ma il boss proveniente da Afragola, affiliato prima al clan Bardellino e poi al clan Moccia-Magliulo, che con quelli della Marranella fa affari a nove zeri con la cocaina, è anche un traditore da eliminare; Gennaro cerca scampo arrampicandosi sul balcone; inutilmente. L’idea degli investigatori è che l’assassino sia un regolamento di conti nella malavita romana di alto livello. Dopo una prima archiviazione, nel gennaio 2003, il caso viene riaperto l'anno successivo per le rivelazioni dei pentiti. Si arriva al primo arresto di Michele Senese, indicato come mandante del delitto. Anche questa volta, però, all'esito delle indagini arriva, nel 2007, l'archiviazione preceduta dall'annullamento da parte del Tribunale della libertà dell'ordinanza d’arresto. E, ancora nel 2010, il caso viene archiviato. Accade, però, che irreperibile da mesi, dopo essere stato scarcerato per decorrenza dei termini, Michele 'o Pazzo ( il quale vive da uomo libero anche se sul suo capo pende una condanna, in secondo grado, a otto anni per droga) alla fine di giugno del 2013, viene catturato dai carabinieri a Ciampino con l’accusa di concorso in omicidio aggravato dal metodo mafioso. Gli esiti delle nuove indagini, incastrerebbero Senese, quale mandante dell'omicidio di Pinocchietto, e Domenico Pagnozzi, detto 'o Professore, quale esecutore materiale del delitto: l'alleanza criminale fra i due risalirebbe ai tempi della guerra di camorra degli anni Ottanta, per la comune militanza nella Nuova Famiglia di Carmine Alfieri contro i cutoliani. I due, trasferitisi a Roma, secondo alcuni pentitiì avrebbero iniziato a cooperare, scambiandosi reciproca assistenza nell'esecuzione di omicidi. Incastrerebbero altresì, Clemente Fiore, che si sarebbe trovato col Pagnozzi a bordo della Croma blu; Giovanni De Salvo, che a bordo del suo scooter avrebbe dovuto controllare che Giuseppe Carlino fosse realmente morto ed eventualmente somministrargli il colpo di grazia, di cui comunque non ci fu bisogno; Raffaele Carlo Pisanelli, l'uomo che avrebbe procurato le armi, e Giovanni Moriconi (che sarebbe stato incaricato di trovare l'appartamento) Le nuove indagini avrebbero portato a utenze telefoniche che impegnarono le cellule sul lungomare delle Meduse in Torvaianica; documenterebbero la partecipazione degli stessi alla riunione operativa nel corso della quale Michele Senese avrebbe affidato ai presunti complici il mandato omicidiario; confermerebbero la presenza del gruppo di fuoco sul luogo dell'agguato, in occasione dei sopralluoghi ; consentirebbero di ricostruire i movimenti degli indagati, lungo la via di fuga e nelle fasi successive all'omicidio. I pm nel giudizio abbreviato non hanno dubbi: «Giuseppe Carlino fu ammazzato per una promessa di morte che era stata fatta da Michele Senese direttamente dal carcere. L'omicidio era da un lato la vendetta per la morte di Gennaro Senese, dall'altro la condanna fu eseguita per affermare la forza criminale del boss; il messaggio che Senese intendeva mandare a tutti era chiaro: nessuno può fare qualcosa a Senese, perché Senese è un boss indiscusso ed è in grado di uccidere anche da dietro le sbarre». Per questo, a 13 anni dall'omicidio, hanno chiesto l'ergastolo per Senese, Pagnozzi e Clemente, nonché a trent'anni di reclusione sia per De Salvo sia per Pisanelli. Richieste durissime che riaccendono i riflettori sulla criminalità che da anni ha messo radici nella Capitale e l'omicidio Carlino ripete tutti i requisiti del delitto di mafia: dalla vendetta per lo sgarro subito ( il debito che i Carlino avevano con il gruppo Senese e che saldarono a colpi d'arma da fuoco) alla dimostrazione di forza di un boss "dalla caratura criminale storica", che organizza e fa portare a termine l'annientamento del proprio nemico anche se rinchiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario.