«Fassina chi?» Lui si fa riconoscere e se ne va

Stefano Fassina dice basta e si dimette. Incompatibile la posizione dell’ormai ex viceministro all’Economia di rito Ds con il nuovo corso impresso da Renzi al Pd. Le prime avvisaglie di quanto sarebbe accaduto nel tardo pomeriggio già in mattina. In un’intervista a La Repubblica Fassina auspica il rimpasto di governo, mettendo nella mani «di Letta e Renzi» il proprio mandato. Secondo Fassina è doveroso che «la nuova segreteria guidata da Renzi, che ha vinto in modo forte il congresso, segni l’agenda di governo. Il nuovo programma va di pari passo con una nuova squadra a Palazzo Chigi». Anche perché l’assetto del Pd al governo - per Fassina - «è la fotografia di un Pd archiviato dal congresso. Il partito nato dalle primarie è un’altra cosa con un segretario che legittimamente punta a una discontinuità con quel gruppo di ministri e con quel programma». Salvo rinviare il chiarimento interno al Nazareno alla prossima direzione del 16 gennaio. Ma la goccia che fa traboccare il vaso arriva nel pomeriggio. Parlando in conferenza stampa, il segretario del Pd Renzi risponde così a una domanda sul giovane turco: «Fassina chi?. Fassina? Non sento, non sento». Per il viceministro è davvero troppo: Fassina presenta al premier Letta le proprie «dimissioni irrevocabili». «Le parole del segretario Renzi su di me - spiega Fassina - confermano la valutazione politica che ho proposto in questi giorni: la delegazione del Pd al governo va resa coerente con il risultato congressuale. Non c’è nulla di personale. È questione politica. È un dovere lasciare per chi, come me, ha sostenuto un’altra posizione». «È responsabilità di Renzi, che ha ricevuto un così largo mandato - prosegue - proporre uomini e donne sulla sua linea». Di conseguenza «restituisco irrevocabilmente il mio incarico» anche se «continuerò a dare il mio contributo al governo Letta dai banchi della Camera». Cosa accadrà ora? Letta resta ottimista. Alla fine la quadra all’interno della maggioranza si troverà su tutto: legge elettorale, riforme, unioni civili, Bossi-Fini. Certo, le fibrillazioni non mancano, con il Nuovo centrodestra che non vuole essere subalterno al Pd e non accetta aut aut da Renzi. Anche il premier non intende fare il passacarte del segretario Dem. Ieri il presidente del Consiglio ha lavorato tutto il giorno, trascorrendo la giornata a Palazzo Chigi impegnato nell’approfondimento di tutti i principali temi dell’agenza politica. Letta ha avuto contatti informali sia sul merito delle questioni sia sul metodo del confronto, confermandosi ottimista: nelle prossime 2-3 settimane si troverà una buona intesa su tutto. Per quanto riguarda il posto di Fassina, Renzi spingerà per un proprio fedelissimo: Lucrezia Reichlin, Giancarlo Padoan dall’Ocse e Luca Cottarelli. Nel mirino di Renzi restano i ministri economici Saccomanni, Zanonato e Giovannini. Difficile però che si arrivi anche a un minirimpasto che evocherebbe un rimpasto più ampio. I 5 ministri Ncd sono difficili da toccare, perché da Alfano dipende la tenuta del governo. Difficile anche rimuovere i tecnici, perché gli altri partiti di maggioranza - Scelta Civica in primis - rivendicherebbero poltrone. Ma la partita è solo all’inizio.