Rabbia Galliani, via dal Milan
Adriano Galliani lascia il Milan. Con o senza accordo sulla buonuscita. Dopo ventisette anni di onorato servizio, il miglior dirigente del calcio italiano fa un passo indietro per far spazio alla new generation. L’amministratore delegato rossonero presenterà le proprie dimissioni dopo l’ultima sfida di Champions League contro l’Ajax, al più tardi dopo il prossimo derby del 22 dicembre. L’inizio del 2014 segnerà l’alba di un nuovo corso, che potrebbe anche vedere la presentazione del nuovo logo del club, per tagliare definitivamente tutti i ponti col passato. «Ho ricevuto un grave danno alla mia reputazione - sottolinea - io non ci sto più a farmi rosolare a fuoco lento. Sono d’accordo con il ricambio generazione, ma fatto in questa maniera è inelegante». La breve storia del connubio tra Barbara Berlusconi e Adriano Galliani, iniziato nell’aprile del 2011, è pieno di frizioni e incomprensioni che hanno via via logorato un rapporto mai nato. Nel gennaio del 2012 l’Ad fu costretto a fare una retromarcia in mondovisione nella cessione di Alexandre Pato. Il brasiliano era stato messo sul primo aereo per Parigi, in cambio di 30 milioni di euro. Galliani aveva trovato l’intesa con i dirigenti del Manchester City per l’acquisto di Carlitos Tevez. Ma l’amministratore delegato rossonero aveva fatto i conti senza l’oste - anzi - senza la figlia del presidente che preferì tenersi stretto il fidanzato. Questioni di cuore, ma non solo. La dottoressa Berlusconi non ha mai condiviso la linea politica scelta da Galliani nella gestione dei diritti televisivi in Lega. Una questione di blasone, ma non solo. Troppo forte il fronte avverso, con Juventus, Inter, Roma e Fiorentina dall’altra parte della barricata, troppo deboli gli alleati rossoneri con Lotito, Preziosi e Pulvirenti. E poi il calcio mercato. Tanti soldi spesi male - secondo Barbara Berlusconi - con la figura di Mino Raiola sempre più preponderante, capace di orientare e determinare la campagna acquisti del club. La dottoressa contesta gli affari mal riusciti col Genoa per gli acquisti di Costant, El Shaarawy e Boateng, oppure i troppi soldi spesi (male) per Matri e Pazzini. Un amministratore delegato nel tritacarne, in ogni modo capace di portare in rossonero Ibrahimovic e Kakà in momenti di carestia, quando il Lodo Mondadori pesava come un macigno e quando la Champions League rischiava di essere un miraggio. E invece il Milan ha partecipato alla Champions League undici volte nelle ultime dodici edizioni. Il dirigente esce di scena a testa alta, dopo aver vinto tutto quello che c’era da vincere, dopo aver costruito con abilità e competenza calcistica un Milan imperiale, vincente: in Italia, in Europa, nel mondo. Non ci saranno ripensamenti, solo un’appendice per discutere la cifra della liquidazione. Cinquanta milioni, o giù di lì. Il costo di un top player. «Gli uomini passano, il Milan resta». Adriano Galliani guarda oltre, lasciando un vuoto facilmente colmabile. I nomi dei successori non mancano. Paolo Maldini potrebbe essere messo a capo dell’area tecnica. Poi c’è Daniele Pradè, attuale direttore sportivo della Fiorentina che potrebbe trasferirsi nella nuova casa del Milan. Ma dalle parti del nuovo quartier generale milanista ci potrebbe essere una scrivania e un ruolo di primo piano anche per Michele Uva, attuale direttore generale della Coni Servizi. Con lui arriverebbe in società anche Demetrio Albertini. Galliani ieri sera è andato a cena ad Arcore per salutare il presidente Berlusconi. Ora esce di scena: ci mancherà il suo modo scomposto di esultare in tribuna, la sua cravatta gialla, e la sua grande competenza calcistica. Se ne va un pezzo di storia. Chapeau.