di Gennaro Malgieri* Il mio noviziato politico, cominciato quarantadue anni fa quando avevo solo diciassette anni, in quella scuola di «vinti», ma non di «perdenti», che era il Msi, non prevedeva l'approdo in nessun'altra casa che non fosse q

Nonuna stamberga, ma una reggia per chi sapeva accontentarsi del decoro e delle idee che valgono a segnare una vita. La mia di vita non prevedeva altri approdi. In quattro decenni ho fatto in tempo a vedere l'evoluzione di quel mondo, a seguirlo, assecondarlo, animarlo e perfino (sia pure in piccola parte) a contribuire alla sua evoluzione. La destra, nel bene e male, dunque, è stata ed è - non soltanto nel mio immaginario - quella che gli italiani hanno imparato a conoscere ed in misura piuttosto considerevole ad apprezzare almeno fino a quando è stata percepibile come un soggetto politico attivo. Mai, in quell'estate del 1970 - una calda estate che sarebbe sfociata in un autunno luttuoso e perciò indimenticabile con la prematura morte di due miei miti di allora (e poi di sempre): Jimi Hendrix e Yukio Mishima - avrei immaginato che le mie letture e le mie illusioni appena addomesticate dal realismo di una grande scuola politica mi avrebbero portato un giorno ad approdare al Popolarismo europeo che all'epoca neppure esisteva se non lo si vuol ritenere - e sarebbe sbagliato - l'esito maturo dell'esperienza dell'Internazionale democristiana. Come ci sono arrivato? Quando del 2001 venni eletto dal Parlamento membro del Consiglio d'Europa, la mia scelta cadde sul Gruppo dei democratici europei che riunivano a Strasburgo tutti i conservatori del Continente, del quale divenni subito vice-presidente. Il Ppe era già la principale aggregazione parlamentare, ma non aveva ancora assunto i connotati di un'organizzazione capace di far convivere nel suo senso le molte anime che si agitavano in Europa, soprattutto nei «nuovi» Paesi dell'Est ai quali il Ppe aprì le sue porte accogliendo anche conservatori non di stretta osservanza democristiana. Con curiosità mi avvicinai, ma senza aderire, cosa che invece feci all'Ueo, l'organizzazione parlamentare dell'Unione dell'Europa Occidentale che da un anno ha cessato di esistere perché sono venute meno le motivazioni della sua esistenza. Qui, nelle sessioni parigine, Ppe e Gde collaboravano proficuamente in uno stesso gruppo. Non sussistendo impedimenti all'adesione al più grande gruppo politico europeo dopo l'ammissione in esso degli stessi conservatori britannici e dei gollisti francesi a cui ero legato, mi decisi al passo che per me fu naturale. Ed oggi ne faccio parte trovandomi a mio agio anche quando non condivido alcune decisioni che tengono poco conto delle differenze nazionali: dettagli. Il Ppe si fonda su una politica dei valori che lascia ad un uomo di destra come me la possibilità di esplicare la sua dinamica avvalendosi degli insegnamenti di Sturzo (stella polare da almeno due decenni), ma anche dell'europeismo di Richard Coudenhove Kalergi, il cui busto troneggia tra quelli di Spaak, Schumann, De Gasperi, Adenauer al Consiglio d'Europa a Strasburgo. Coudenhove Kalergi è stato uno dei padri non sempre riconosciuto dell'Europa. I suoi scritti mi hanno formato. Era un uomo di destra, aborriva il populismo; vaticinava di Stati Uniti d'Europa quando i totalitarismi imperversavano; da aristocratico sapeva colloquiare con il popolo. Oggi è nel Pantheon dell'europeismo. La destra italiana lo ha dimenticato. Io l'ho «incontrato» nei racconti che mi faceva il suo successore alla testa di «Paneuropa», da lui fondata negli anni Venti, l'arciduca Otto d'Asburgo, figlio primogenito di Carlo I ed erede al trono imperiale d'Austria-Ungheria, a lungo deputato della Csu bavarese al Parlamento europeo dove s'intratteneva volentieri con Romualdi e con il mio amico Gustavo Selva. Perché ricordo tutto questo? Per un motivo semplice. Dopo quanto è accaduto in Italia nei giorni scorsi ed è culminato nelle iniziative del decomposto Pdl ieri, mi sembra di una certa rilevanza sottolineare che non c'è prospettiva politica per un centrodestra che voglia nutrire qualche ambizione al di fuori del Ppe, indipendentemente da chi lo guida. Talune manifestazioni, assolutamente legittime, mi hanno dato l'impressione che componenti significative del centrodestra, assumendo un'autonomia dettata più da questioni interne che dal contesto internazionale al quale necessariamente bisogna guardare nell'immaginare scenari futuri, stiano per mettersi di fatto, magari ben oltre la loro stessa volontà, al di fuori del popolarismo europeo chiudendosi così nella marginalità di una testimonianza che non va al di là della presenza elettorale. Insomma, non sembra, nello smembramento del centrodestra, che tutti abbiano maturato la consapevolezza che al fuori del Ppe e, dunque, di un contesto più ampio del cortile di casa, si possa immaginare di incidere sulle scelte e le decisioni continentali. Anche per questo quando si assumono atteggiamenti impolitici come quello assunto dieci giorni fa dal Pdl, in un momento di furiosa estraneazione dall'ambito della ragionevolezza, bisogna prevedere le ricadute che possono esserci facendo parte di una più larga famiglia politico-culturale. E certo non credo abbia giovato alla ricomposizione richiesta nel vertice di Bruxelles giovedì scorso del Ppe il discorso di Alfano pronunciato ieri alla convention di Italia popolare. Intanto perché non ha detto una parola a giustificazione dell'annunciata «non sfiducia» offerta a Monti, con la quale ha decretato la caduta del governo e la fine anticipata della legislatura, e poi per aver elegantemente glissato sugli effetti di tutto ciò come se bastasse riconoscere al Professore il ruolo di «federatore» del centrodestra senza un minimo di autocritica. Nel Ppe, ma non solo (basta leggere i giornali stranieri di questi giorni), ci si sta chiedendo come sia possibile mutare tanto repentinamente d'avviso dopo un «incidente» speciosamente provocato e condiviso peraltro da buona parte degli organizzatori dell'iniziativa che dovrebbe favorire il recupero. Insomma, il Pdl, unitariamente, o si mette sulla scia di un europeismo accettabile da parte del Ppe o è fuori da esso. E se accadesse sarebbe terribilmente impolitico, come sperimentano movimenti che pur di destra per tale motivo sono sostanzialmente isolati. Quell'antica destra, il cui cammino è stato sempre volto al superamento del passato in nuove sintesi politiche, non avrebbe apprezzato. Lo ricordo a chi ha condiviso con me un lungo tratto di strada. Sì, anche verso il Ppe. *deputato Pdl