Le menzogne su Fiat e Pomigliano che servono a far vincere Bersani

Masoprattutto ha al centro gli operai di Pomigliano. Cioè la nuova ragion d'essere, il totem unificante della sinistra politico-sindacale e magari del «profumo» che da essa si sprigiona. La fabbrica sempre avversata dalla Fiom-Cgil che ne ha rifiutato il piano produttivo e ha portato l'azienda di fronte alla Corte costituzionale. Lo stabilimento dove la magistratura ha imposto la riassunzione di 19 dipendenti tesserati Fiom. Non solo. Pomigliano è quel luogo nel quale - citiamo un reportage da La Stampa (quotidiano Fiat) del giugno 2010 - vengono imposti «ritmi inumani» e la «separazione della madri dai figli e dei mariti dalle mogli». Infine è ai cancelli di Pomigliano che Vendola ha coronato la campagna per le primarie, con un corteo assieme ad Antonio Di Pietro, al segretario Fiom Maurizio Landini, al giurista Stefano Rodotà, al sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Ed è a Napoli che il 29 novembre si è celebrato l'abbraccio Bersani-Vendola, nel pienone del teatro Politeama tra lo sventolio delle bandiere Fiom. La possibile futura classe dirigente del Paese, quella che appunto «profuma di sinistra».La storia ha un fatto, un antefatto e un post-fatto. Il fatto. L'otto novembre Pomigliano riceve a Lipsia l'Automotive Lean Production Award, il premio come miglior fabbrica d'Europa «per qualità, manutenzione, logistica e sviluppo delle persone» assegnato da Automobil Produktion, maggiore rivista specializzata tedesca, e dalla multinazionale di consulenza industriale Agamus Consult. Che nella patria della Golf e delle Bmw venga premiata l'efficienza e la qualità del lavoro Fiat è una notizia. Anche perché alla selezione partecipano 700 impianti in 15 Paesi, sottoposti a verifiche sul campo, incontri con manager e lavoratori, dati e questionari riservati. L'azienda non si lascia sfuggire l'occasione e fa una pubblicità che dice: «Pomigliano, escono auto italiane, entrano premi internazionali». Ma l'attenzione è distratta da altro. E siamo al post-fatto. Marchionne entra suo malgrado nelle primarie del centrosinistra. Polemizza con Matteo Renzi su Firenze, ma è Bersani che scaglia la frase a effetto: «A Marchionne dico che non sta parlando a uno cui si può raccontare di tutto. Mi faccia capire meglio perché mi pare piuttosto osè». Siamo nel miglior Bersani-Crozza, quello che non è mica qui a pettinare bambole e smacchiar leopardi. Vendola è appunto reduce dall'aver cantato Bella Ciao a Pomigliano. E per giunta esce un libro, autrice la giornalista Ritanna Armeni, titolo «Lo squalo e il dinosauro. Vita operaia nella Fiat di Marchionne» (Ediesse). Armeni aveva raccolto tre anni fa un'appassionata autobiografia di Fausto Bertinotti: «Devi augurarti che la strada sia lunga». Una «riflessione sul passato ma anche sulle possibilità di un ennesimo slancio in avanti» del padre di Rifondazione comunista all'indomani della batosta. Con uno spiraglio: «La strada dell'utopia concreta non si è conclusa». Difatti era già pronto Vendola a raccoglierne il testimone. E Pomigliano. Qui diamo la parola a Pietro Ichino, senatore del Pd, sostenitore di Renzi e autore di proposte di riforma del lavoro che la Cgil vede come la peste, ed il partito ha sempre messo nel cassetto. Citiamo dal sito pietroichino.it del 28 novembre. «Il premio assegnato allo stabilimento Fiat di Pomigliano come la migliore fabbrica di automobili in Europa dal punto di vista tecnologico ed ergonomico» scrive Ichino «pone alla Fiom-Cgil un problema non facile: quello di giustificare il rifiuto opposto a questo insediamento industriale fin dall'inizio del 2010, quando ancora esso era soltanto allo stato di progetto. E quando ancora non si era posto alcun problema di discriminazione nei confronti dei rappresentanti aziendali della stessa Fiom e dei suoi iscritti. Cerca di risolvere questo problema Ritanna Armeni con il suo ultimo libro nel quale le condizioni di lavoro a Pomigliano sono descritte come peggio non si può. Il quadro offerto in questo pamphlet è quello di una catena di montaggio alla Tempi Moderni di Charlot, con lavoratori in grave difficoltà per i ritmi, addirittura coperti di lividi per i continui urti con le scocche in movimento, costretti a non bere per ore stante l'impossibilità di recarsi alla toilette, vessati dai capi con continue contestazioni e provvedimenti disciplinari, che alla terza volta portano al licenziamento». Ichino, che a gennaio aveva visitato in lungo e in largo Pomigliano ricavandone le impressioni dei tedeschi, vuol vedere se qualcosa è cambiato. Racconta: «Ho cercato alcuni dati oggettivi, che possano costituire almeno un indice della qualità dell'organizzazione e dell'ambiente di lavoro. Apprendo dunque (prego Ritanna Armeni di verificare anche lei e segnalarmi se c'è qualche inesattezza) innanzitutto che nell'intero anno e mezzo di funzionamento del nuovo stabilimento, su 2150 persone che vi hanno lavorato a tempo pieno, all'Inail non risulta neppure un solo caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale. Zero: neppure un livido o un graffio. Poiché invece lo stesso Inail indica una frequenza di oltre 30 casi all'anno ogni mille lavoratori nell'intero settore dell'industria e dei trasporti, delle due l'una: o a Pomigliano nascondono gli infortuni e le malattie professionali, o la performance dello stabilimento è, almeno per questo aspetto niente affatto secondario, straordinariamente positiva. Una possibile spiegazione c'è: ora lì tutte le lavorazioni pericolose e nocive, in particolare saldatura e verniciatura, vengono svolte da 600 robot, in ambiente isolato in cui nessuno può mettere piede; e il lavoro al montaggio è organizzato secondo criteri molto sofisticati dal punto di vista ergonomico, cioè del benessere e della minor fatica del lavoratore. Anche per quel che riguarda le possibili necessità di sosta: ogni sei operai (non più ogni dodici, come prima) c'è un caposquadra che sostituisce quello di essi che debba sospendere il lavoro. Stesso discorso per quel che riguarda i licenziamenti disciplinari: neppure uno in un anno e mezzo. Ma anche i provvedimenti disciplinari minori sono molto al di sotto della frequenza normale in qualsiasi fabbrica di grandi dimensioni: in un anno e mezzo, sui 2150 addetti allo stabilimento di Pomigliano, un solo caso di sospensione e venti sole multe, da una a quattro ore di paga-base. Venti in tutto anche le ammonizioni». Conclusione: «A me sembra che Ritanna Armeni faccia benissimo a protestare contro le discriminazioni ai danni degli iscritti alla Fiom nelle assunzioni; ma sbagli di grosso e indebolisca anche la parte giustificata della propria protesta quando cerca di presentarci questo insediamento industriale come un inferno. E che la sinistra politica e sindacale si sia assunta una responsabilità grave nei confronti dei lavoratori e dell'intero Paese, scatenando contro questo stabilimento, fin da quando era ancora allo stadio di mero progetto, una guerra mediatica senza precedenti». Segue invito a «deporre le armi nell'interesse di tutti». Dubitiamo che venga raccolto. Per un motivo: Pomigliano è troppo utile a livello politico e mediatico. Funziona in certe cronache e come sfondo di talk show. Da quella Stampa di due anni fa riportiamo queste altre righe: «Dicono che a Pomigliano non si rida più. Che la crisi stia uccidendo lentamente la fiducia nel futuro di un'intera generazione di trentenni». Ma come abbiamo visto Pomigliano va benissimo soprattutto per concludere cortei e stringere nel suo nome accordi nella sinistra. E domani potrà tornare utile ad una nuova politica industriale che rimetta in circolo la Cgil. Infine l'antefatto, di tipo personale. Abbiamo visitato Pomigliano negli anni Novanta. La Fiat l'aveva rilevato dall'Iri, che vi produceva le Alfa Romeo. Giuseppe Luraghi, presidente dell'Alfa negli anni d'oro, aveva raccontato che la fabbrica era stata imposta dalla politica locale, che ancora dettava le assunzioni mentre al resto provvedeva la camorra. Non necessariamente d'accordo.Quando la vedemmo noi, la magistratura aveva individuato nell'indotto un racket di droga, e le prostitute abbondavano fuori dai recinti mentre all'interno si vendevano collanine e mozzarelle di bufala. I dati sulla produttivita annua erano: 31 mila auto, meno della metà di dieci anni prima, un terzo rispetto ai tempi dell'Alfasud. Per i difetti di assemblaggio l'Alfa 155 di Pomigliano venne classificata costantemente oltre il novantesimo posto su cento delle annuali classifiche del Tuv, l'ente di controllo e certificazione tedesco. Oggi dalla Germania arrivano altri giudizi. Ma è meglio non accorgersene.