Signori e signore benvenuti al Monti pride.

Dasola. Il giorno dopo l'approvazione del decreto sviluppo, il Professore non nasconde una certa soddisfazione per ciò che il suo governo ha fatto e continuerà a fare. «Siamo entrati nella fase due - spiega - e adesso coltiviamo la crescita». Poco importa che i sindacati e i partiti che lo sostengono (soprattutto Pd e Pdl) siano tutt'altro che soddisfatti. I sondaggi dicono che il distacco tra il Paese e le forze politiche è profondo, così il premier preferisce puntare sui giornali: «Da una prima lettura ho visto commenti piuttosto positivi. Molti hanno notato che il governo ha cambiato agenda. Non vorrei deludere ma non c'è stato un cambio d'agenda, siamo in assoluta continuità: il governo lavora per la crescita». Chissà se basta. Di certo c'è che da alcune settimane Monti sembra più attento a ciò che si scrive suoi quotidiani nazionali, in particolare su Repubblica. Al punto da inviare una lettera per replicare alle critiche di Eugenio Scalfari su nomine e spoil system. E di accettare l'invito, situazione a dir poco singolare, sul palco del teatro Arena del Sole per farsi intervistare dallo stesso Fondatore e dal direttore Ezio Mauro. È lì che il suo messaggio diventa ancora più diretto e pieno di orgoglio. Il Professore aveva già spiegato a Milano che il percorso della crescita sarà «lungo e faticoso» e che, mentre noi «ci siamo spostati dall'orlo del precipizio», «il cratere si sta allargando e siamo di nuovo in una crisi». Ma il futuro è ricco di speranza. «Ce la faremo - assicura -, ce la stiamo facendo da soli, non da soli contro un asserito ragioniere dotato di grandi poteri e che parla lingue dall'accento duro, ma ce la stiamo facendo da soli». «Quando ho iniziato - racconta - non è stato facile decidere se puntavamo a farcela da soli o no. Mi veniva autorevolmente consigliato in grandi Paesi europei o negli Stati Uniti di non rischiare troppo, di accettare la protezione e l'aiuto del Fmi o del fondo salva Stati. Ma pur assumendoci grandissimi rischi abbiamo deciso di dire no. I Paesi che hanno chiesto e ottenuto aiuto finanziario hanno nella propria capitale una cosa che si chiama troika, ma io preferisco che l'Italia sia governata da un gruppo di persone italiane, che tengono conto dei vincoli internazionali, e da una strana, generosa, temporanea coalizione del Pdl, del terzo polo e del Pd». Insomma, per dirla ancora più chiaramente, «la Merkel dice che l'Italia ce la fa, ma l'Italia ce la fa non perché lo dice la Merkel». E la cancelliera può dormire sonni tranquilli: «Se un Paese ha un alto debito pubblico ed è a favore di maggiori politiche europee per la crescita non necessariamente aspira ai soldi della Germania». Ma il Monti pride non è solo un progetto sul futuro a cui i governi passati hanno «pensato poco». Non è solo la convinzione che, anche se «ci vuole un po' di tempo», esistono «spiragli di uscita in tempi ragionevoli dalla crisi». È anche una rivendicazione del presente e delle riforme varate dall'esecutivo. A cominciare da quella del lavoro. «Credo che presto verrà rivalutata - commenta il premier - anche da coloro che pur avendola confezionata partecipando alle consultazioni ora la criticano». Nell'attesa, però, bisogna approvarla. Perché «devo arrivare al Consiglio europeo (il 28 giugno ndr) con la legge sul mercaro del lavoro altrimenti l'Italia perde punti. Mi scuso per questo appello unificato alle Camere». Quanto agli esodati, l'impegno del governo è di «avere al più presto una ricognizione» precisa e «prendere i provvedimenti conseguenti, tenendo conto che non tutti e non subito si trovano in questa situazione». Poi c'è il ddl corruzione che «diventerà legge», mentre l'ipotesi di abbassare le tasse nel breve periodo resta un'utopia. Adesso l'attenzione si sposta fuori dai confini nazionali. Si guarda all'Europa che deve mettere in campo «qualcosa di concreto e una prospettiva, con delle date, per una politica mirante alla crescita». Ma anche al G20 messicano di domani e martedì: «Vado con un animo più sereno rispetto al mio predecessore al gruppo dei 20 a Cannes. Ora siamo tra quelli a cui si chiede come si può migliorare l'Europa e non più di quanti soldi abbiamo bisogno e come stiamo cadendo nel baratro».