Così la tv commerciale ha cambiato l'Italia

Ciòè avvenuto grazie a un impulso dal basso, con l'azione di centinaia di soggetti (migliaia se si considerano anche le radio) che d'improvviso hanno cominciato a trasmettere. La nascita dell'emittenza privata (radio e televisione) è stata un moto sociale spontaneo, un'onda venuta dal profondo della vita collettiva. In quanto tale fragile, disordinata, facilmente destinata a disperdersi. Chi ha saputo dare a questa energia una quadratura industriale, un indirizzo costruttivo, trasformandola in una componente duratura dell'imprenditoria italiana è stato Silvio Berlusconi. La tv commerciale ha scardinato la «pedagogia illuminata» Negli anni 80, quando entrambi i partiti erano in crisi, c'era un punto ideologico che manteneva il Pci e la sinistra Dc vicini e consonanti aiutandoli a combattere molte battaglie di retroguardia, contro Craxi, Berlusconi e in generale gli impulsi innovatori della società: la pedagogia illuminata, l'idea che cittadini e consumatori, il popolo, fossero in un perenne stato di minorità e che quindi fosse opportuno limitare le loro scelte - nella televisione, nei consumi, nella scuola, nella gestione dei risparmi. Al posto loro è meglio se decide chi sa, l'élite civilizzata dell'editoria, dell'impresa, dei vertici politici, dell'alta dirigenza pubblica. E' questo il mondo che ha visto la liberalizzazione televisiva, l'esplosione consumista che ne è derivata in linea diretta, il successo dell'outsider venuto dall'Isola come il caos che avanza, un acido che aveva il potere di dissolvere il castello perbenista della delega ai sapienti. I conservatori non sbagliavano: attraverso la libertà di scelta che la televisione commerciale ha diffuso ovunque, ha reso abitudine comune, modo naturale d'agire, l'Italia è cambiata, è uscita di minorità, ha abbracciato nuovi usi e nuove attività. La radice di tante novità, che attecchiranno negli anni 90 e nel nuovo secolo, dall'uso pervasivo delle reti mobili alla Seconda Repubblica, stanno in questo salto di mentalità. Tv: l'attacco a Mediaset precursore degli scontri della Seconda Repubblica Il fronte schierato per lo smantellamento della televisione commerciale è stato il precursore, quasi la prova generale, della coalizione che nel 1994, caduto il governo Ciampi, si apprestava con Occhetto a prendere la guida dell'Italia. Forse, senza neanche troppo forzare, si può dire che la Seconda Repubblica ha riprodotto l'impianto, i temi e anche le tecniche aggressive che negli anni 80 avevano caratterizzato lo scontro televisivo. Il successo di Forza Italia ha trasformato la natura della contesa intorno alla televisione commerciale: da scontro sull'assetto di un settore industriale, per quanto importante, si è trasformata in conflitto politico essenziale, linea di separazione che divide tutto lo spettro dei partiti e il Paese stesso. Si è costruito pian piano un bric-à-brac mitologico che ha creato fortune televisive, ha cumulato diritti d'autore, ha mobilitato le anime sante e ha fatto deragliare nell'inessenziale il dibattito pubblico: conflitto d'interessi, videocrazia, regime, caimano. In realtà dal 1984, per quasi trent'anni, si ripete uno schema costante che ad ogni passaggio amplia il suo raggio di applicazione ma non muta natura. Chi promuove la libertà d'innovare delle imprese e la libertà di scegliere dei cittadini, che sono anche consumatori, si rivolge in via diretta al pubblico, alla platea di chi decide programmi e acquisti, ne cerca il sostegno in prima persona: nel 1984 sono le manifestazioni degli spettatori che vogliono ritrovare sul video i Puffi, nel 1994 sono gli elettori che votano primo ministro l'inventore di Canale 5, nel 1995 sono i votanti che respingono con larga maggioranza il referendum dell'ex Pci per amputare Mediaset. Tlc: la legge Gasparri ha promosso sviluppo e concorrenza La legge Gasparri, che si impernia sulla prospettiva digitale e crea le condizioni per accelerare gli investimenti dei broadcaster in infrastrutture, è forse la legge più vilipesa di tutta la seconda Repubblica, ha sollevato un'onda inesausta di ricorsi e contestazioni, però in dieci anni ha continuato a funzionare quasi intatta e ha promosso uno straordinario sviluppo tecnologico dell'industria audiovisiva. Due esempi lo testimoniano. Primo: nel 2003 la Commissione Ue ha autorizzato una fusione tra i due operatori pay dell'epoca che ha dato a Sky il monopolio di settore: dopo sei anni, nel 2009 Sky, operando nel contesto normativo delineato dalla legge Gasparri, è diventato il primo editore televisivo per fatturato scardinando il duopolio e le relative chiacchiere. Secondo: oggi il mercato televisivo annovera quattro principali operatori, tutti facenti parte di grandi gruppi industriali, e almeno una dozzina di altri editori nazionali, alcuni integrati in verticale altri attivi solo come content provider, con una configurazione concorrenziale del tutto analoga a quella della telefonia mobile che esprime un fatturato quasi triplo. I canali privati hanno contribuito alla crescita della vita sociale La storia della televisione commerciale in Italia dura ormai da più di un terzo di secolo. E' stata densa di eventi e ha contribuito a modellare, in una misura forse inaspettata, anche attraverso i contrasti suscitati, la forma del sistema politico negli ultimi vent'anni. Nel complesso ha arricchito e reso più compiuta la vita civile. Soprattutto tre apporti ci sembrano acquisiti in maniera irreversibile. Aprire settori importanti e sensibili, come l'industria televisiva, alla decisione dei cittadini e alla paritaria competizione delle imprese, superando restrizioni che confiscano la libertà di scelta a favore di élite sapienti, è una conquista che ha fatto bene sia all'economia (il boom dei consumi degli anni 80) sia alla democrazia in Italia. Aiutare il senso comune dei cittadini a trovare un'espressione sempre più ricca e articolata attraverso la novità degli spot e la sorpresa di programmi fuori dalla consueta linea televisiva alimenta una crescita civile che negli anni 90 si manifesta anche in una crescente indipendenza del giudizio: sociale in primo luogo ma anche politico. Costruire un'informazione meno ingessata di quella tradizionale, più centrata sulle persone e le loro storie, più diretta fornisce migliori strumenti di controllo sulle decisioni del mondo politico.