Nel Pdl troppi errori e silenzi

Per il Pdl è andata peggio del previsto, o del temuto da parte dei suoi dirigenti. Che, per quanto contrariati dal "crollo" o dal "disastro" annunciato da giornalisti non necessariamente ostili o prevenuti nei riguardi del loro partito, hanno finito per confermarne le valutazioni con una decisione che più significativa non poteva risultare. E che giustamente è stata sottolineata in tutti i collegamenti radiofonici e televisivi seguiti alla diffusione dei primi risultati di queste elezioni amministrative. In particolare, è stata lasciata a lungo chiusa la sala stampa della sede nazionale del Pdl, a poche centinaia di metri di distanza da Montecitorio. Un'immagine semplicemente devastante, tanto più grave e sorprendente per un movimento fondato da uno specialista della comunicazione come Silvio Berlusconi. Che, del resto, ci ha messo anche del suo in questo passaggio preferendo seguire i risultati da Mosca, dove non ha voluto mancare alla festa dell'insediamento, anzi del ritorno, del suo amico Vladmir Putin al Cremlino. Proprio l'assenza del Cavaliere per ragioni diplomatiche che potrebbero anche essere comprese con un po' di buona volontà per il ruolo politico e istituzionale a lungo svolto come capo del governo, i dirigenti del Pdl avrebbero dovuto sentire di più il bisogno e il dovere di presidiare i loro uffici e di garantire la normalità, o le consuetudini, come preferite, dei rapporti con i giornalisti durante lo spoglio delle schede di un così vasto e atteso turno elettorale. Senza aspettare l'ultimo momento perché il segretario Angelino Alfano ci mettesse, a quel punto, una toppa assumendosi finalmente l'ingrato compito di ammettere la "sconfitta" davanti a microfoni e telecamere, con i simboli e i colori del partito alle spalle. Non hanno fatto di meglio quegli esponenti non certo secondari del Pdl che si sono sottratti al silenzio solo per cercare di minimizzare tutto, e ad ogni costo. Magari dicendo, com'è accaduto ad uno dei coordinatori nazionali, l'ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, che "abbiamo sbagliato i candidati". "Abbiamo", chi?. Non a caso è subito insorto a contestare La Russa pubblicamente Enrico La Loggia, già ministro, pure lui, già capogruppo di Forza Italia al Senato e attuale presidente della commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale. D'altronde, non è la prima volta che nel Pdl si cerca di liquidare le sconfitte prendendosela solo, o prevalentemente, con le candidature sbagliate. Fu fatto, per esempio, a Milano l'anno scorso per spiegare la perdita del Comune con la bocciatura del sindaco uscente Letizia Moratti, sorpassata nettamente da Giuliano Pisapia. Fu fatto a Napoli, sempre l'anno scorso, per spiegare il fiasco del candidato sindaco del centrodestra Gianni Lettieri, peraltro in una situazione che non era certamente favorevole al centrosinistra, dopo le prove a dir poco penose date dal sindaco uscente Rosa Russo Iervolino. Era stato fatto l'anno prima per spiegare la sconfitta subita nelle elezioni regionali pugliesi, vinte nuovamente da Nichi Vendola, per il rifiuto ostinato dell'allora ministro del Pdl Raffaele Fitto di accettare e sostenere la valida candidatura dell'ex ministro del centrodestra ed ex sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone, proposta dall'Udc e temutissima dal Pd. In quella occasione, in verità, assumendosi lodevolmente la responsabilità dell'accaduto, il ministro rassegnò le dimissioni. Ma l'allora presidente del Consiglio Berlusconi volle perdere l'occasione di accettarle. E, respingendole, mostrò una generosità non compatibile con le dure regole ed esigenze della guida di un partito e, più in generale, della politica. Non poteva che seguire quello che è appunto accaduto, in un contesto purtroppo aggravato dalle sopraggiunte crisi dell'economia, di governo e del sistema partitico. Crisi in qualche modo certificata dal ricorso ai tecnici e dall'esplosione di un grillismo che farà forse rimpiangere il leghismo.