di Francesco Perfetti La temperatura dell'orribile inverno della seconda repubblica la dà una battuta che mi ha fatto al telefono, prima del terremoto provocato dalle dimissioni di Bossi, un carissimo amico, un politico di centrodestra serio

Eppure,egli è attanagliato - al pari di tanti onesti cittadini, i quali lavorano, pagano le tasse e sopportano le vessazioni di uno Stato padrone che li considera sudditi da umiliare e strizzare - da delusione e amarezza che si traducono in vero e proprio disagio esistenziale e in un sentimento di impotenza. La crisi della seconda repubblica (se mai è davvero esistita) è drammatica. È una crisi ancora più grave e dirompente di quella che travolse la prima repubblica sommergendola nel fango di tangentopoli. Non c'è stato rinnovamento della politica. Non ci sono stati interventi risolutivi dei mali storici del paese. L'unica voce all'attivo è la creazione di un bipolarismo che, pur con limiti e innegabili difetti, è riuscito a garantire l'alternanza nei ruoli di governo e di opposizione. Adesso siamo al rush finale della seconda repubblica. La politica è stata commissariata da un governo di emergenza, che vive per mancanza di alternative e che si risolve di fatto in una sorta di «neoconsociativismo», costretto a barcamenarsi fra passi avanti e passi indietro, tra veti e contro-veti, ricorrendo, suo malgrado, a riti e prassi propri delle peggiori stagioni della prima repubblica. Intanto, il vaso di Pandora si è scoperchiato e i miasmi di un sistema corrotto e in putrefazione si diffondono nel paese alimentando l'antipolitica. Sono comprensibili, oltre all'irritazione e al disgusto per i partiti e la politica, lo scoramento e il disagio esistenziale di coloro che, con onestà e generosità, avevano sperato di costruire un futuro migliore per sé e i propri figli. Per l'Italia. Che cosa possa accadere nel futuro non è facile immaginare. Che il governo dei tecnici sia in grado di reggere sino alla fine della legislatura non è da escludere. Ed è, forse e anzi, auspicabile. Ma poi? Il panorama è drammatico. Pdl e Pd sono travagliati dai contrasti interni e a rischio d'implosione, la Lega è in disfacimento, il Terzo Polo non sta meglio. Cresce il distacco dei cittadini dalla politica, mentre monta la rabbia nei confronti della Casta. Tanto più che la «domanda politica» ha oggi canali diversi rispetto a quelli partitici per farsi sentire. E allora? Nel 1971, Giuseppe Berto pubblicò un irriverente pamphlet nel quale denunciava certi mali ricorrenti, dalla partitocrazia all'elefantiasi burocratica, dalla degenerazione del Parlamento alla malagiustizia. Il discorso rimase sulla carta. E vennero tangentopoli e il crollo della prima repubblica. Oggi sarebbe necessaria una altra modesta proposta per prevenire il prevedibile collasso non solo del sistema politico ma della stessa democrazia nel 2013, se non prima. Ho detto: collasso della democrazia. Lo ribadisco perché la democrazia - la democrazia liberale, non quella totalitaria - può sussistere solo se esiste un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, cittadini e politica. La prima cosa - è questa la mia modesta proposta - sarebbe la restituzione da parte dei partiti dei fondi non utilizzati per le spese elettorali. I partiti hanno ottenuto Stato, a titolo di rimborso, una cifra esorbitante, della quale è stato speso solo un quarto. Nelle loro casse ci sono almeno un miliardo e mezzo di euro non utilizzati e che potrebbero, almeno in parte, coprire le spese dell'accordo sul lavoro ed evitare la nuova ondata di tasse. Sarebbe un gesto di buona volontà. Ma anche un passo sulla strada del ravvedimento. Perché la legge sul rimborso delle spese elettorali è una truffa vera e propria oltre che una offesa alla logica. Una truffa perché gabella per rimborso il finanziamento pubblico abrogato per referendum. Una offesa alla logica perché il concetto di rimborso implica che vi siano prima spese e poi erogazioni a copertura delle stesse. E non già, come avviene, il contrario.