Con la rinuncia Casini fa gol

Nella partita metaforicamente in corso da qualche tempo tra la politica e l’antipolitica, tra i partiti e un’opinione pubblica stanca dei loro costi troppo alti, e delle loro inconcludenti abitudini, Pier Ferdinando Casini ha segnato una bella rete. Gliene va dato atto. Lo ha fatto annunciando la rinuncia immediata ai benefici appena disposti, sotto le mentite spoglie di una loro riduzione, per gli ex presidenti della Camera. Ai quali, con la sola eccezione di Pietro Ingrao, 97 anni compiuti ieri, e di Irene Pivetti, 49 anni da compiere il 4 aprile, è stato concesso dall’ufficio di presidenza di Montecitorio, per fortuna e decenza non all’unanimità, di poter conservare sino al 2023, cioè per altri undici anni ancora, ufficio, segreteria e auto. Che con la vecchia disciplina di questo tipo di benefici sarebbero loro toccati a vita e con la nuova, senza le eccezioni, per "soli" dieci anni dalla fine del loro incarico presidenziale: per Luciano Violante, quindi, sino al 2011, per Casini sino al 2016 e per Fausto Bertinotti sino al 2018. Riconosciuto a Casini il merito del suo immediato rifiuto, egli ci deve tuttavia consentire di chiederci, con franchezza ed amicizia, se in questa vicenda è stato più bravo o fortunato. La bravura, ripeto, sta nel tiro a rete. La sua fortuna sta nelle brutte reazioni degli altri giocatori della squadra politica. Dai quali è venuto o un silenzio imbarazzato, quale sostanzialmente è stata l’adesione "istituzionale" annunciata da Bertinotti alla decisione dell’ufficio di presidenza, o un’assordante critica: quella di Violante. Che, pur riservandosi di decidere fra un anno, quando scadrà la prima delle due proroghe concessegli l’altro ieri, ha trovato nella rinuncia di Casini più "esibizionismo" e "ipocrisia" che avvedutezza e responsabilità. Una caduta di stile e di senso politico a dir poco sorprendente in un uomo di esperienza istituzionale come Violante. Con il quale potrà convenire solo l’ex "pulzella" della Lega Pivetti, cui non sono bastati i 16 anni, che diventeranno l’anno prossimo 17, trascorsi con i benefici acquisiti nel 1996, quando finì la sua breve esperienza di presidente della Camera. La signora, stando alle sue stesse incredibili dichiarazioni, ne avrebbe voluti altri ancora, se non a vita, come le sarebbe stato assicurato con la vecchia disciplina. E ciò non tanto per sé, poveretta, quanto per il personale a sua disposizione, ma a carico della Camera. Questa storia della Pivetti e dei dipendenti a rischio di disoccupazione, o di occupazione meno gratificante, mi ricorda un po’, fatte naturalmente le debite differenze, la crisi di uno dei primi governi di Aldo Moro, negli anni Sessanta, quando Giulio Andreotti rischiò di non essere confermato ministro della Difesa. Un suo amico, non sapendo a quali altri argomenti ricorrere per perorarne la conferma con un Moro che, riottenuto l’incarico di presidente del Consiglio, gli sembrava orientato verso un’altra soluzione, gli segnalò la consistenza della segreteria del ministro uscente, fatta di una ventina di persone. Moro guardò sornione il suo interlocutore e disse: "Ma questo allora non è un problema politico. È un problema sociale". E confermò Andreotti al suo posto, facendo in verità anche un buon affare politico. Cosa di cui dubito nel caso della Pivetti, se mai a qualcuno venisse la voglia di ascoltarne le ragioni per lasciarle ancora i benefici di ex presidente della Camera, anche ora che è passata dalla politica ad attività d’intrattenimento televisivo ed altro a lei evidentemente più consone. Vedremo se l’ufficio di presidenza di Montecitorio saprà o vorrà profittare della opportuna rinuncia di Casini per tornare sulle discutibilissime decisioni adottate e renderle veramente coerenti con le declamate finalità di risparmio, eliminando cioè deroghe e proroghe. E magari avviando anche la soppressione della costosa Fondazione della Camera, alla cui presidenza si succedono all’inizio di ogni legislatura, in una stucchevole staffetta, i presidenti uscenti dell’assemblea. Ai suoi compiti di promozione potrebbero ben provvedere gli uffici ordinari di Montecitorio, già affiancati peraltro da consulenti esterni che si occupano di mostre e persino di tendaggi.