Le ombre della legge elettorale di ABC

Un celebre e arguto columnist americano vissuto tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, osservò che «le elezioni sono vinte da uomini e donne principalmente perché la maggior parte della gente vota contro qualcuno piuttosto che per qualcuno». La battuta mette in luce il fatto che, spesso, nelle moderne democrazie, i programmi elettorali presentati dai partiti sono ininfluenti ai fini delle scelte politiche e sono, purtroppo, destinati a restare dei flatus vocis. La storia della macilenta (o, forse, mai nata) seconda repubblica italiana ne è una dimostrazione. Le coalizioni di centro-sinistra o di sinistra-centro hanno avuto successo solo quando si sono costituite in funzione anti-Berlusconi con il solo scopo di abbattere il governo del Cavaliere. La creazione di un "nemico oggettivo" contro il quale scaricare tutta la potenza di fuoco disponibile ha consentito mettere provvisoriamente in soffitta le profondissime e insanabili differenze culturali, ideologiche, programmatiche delle forze che componevano tali coalizioni. A riprova, appunto, di quanto, ben a ragione, sosteneva Franklin Pierce Adams. Eppure, ciò malgrado, gli anni della seconda repubblica hanno fatto registrare, rispetto al passato, un fatto nuovo e importante: l'alternanza al governo delle coalizioni contrapposte e quindi, anche, dei loro programmi presentati al corpo elettorale prima delle votazioni. È un risultato di non poco conto rispetto alla storia della prima repubblica partitocratica e correntocratica. Un risultato che merita di essere preservato anche per il futuro perché l'alternanza nei ruoli di governo e di opposizione rappresenta la fisiologia del corretto funzionamento delle democrazie liberali.   L'accordo siglato nel recente incontro tra Alfano, Bersani e Casini sulla riforma della legge elettorale e su alti interventi riguardanti l'architettura istituzionale deve essere misurato sulla base della sua effettiva capacità di garantire le condizioni della concorrenzialità della lotta politica. I punti essenziali del progetto sono noti sia pure nelle linee generali: scomparsa delle coalizioni elettorali, indicazione preventiva del premier, "premio di governabilità" per il primo ed eventualmente per il secondo partito, soglia di sbarramento e "diritto di tribuna" per i partiti minori che non superassero la soglia stabilita. Accanto al progetto di riforma della legge elettorale è stato raggiunto l'accordo su un programma minimo di riforme istituzionali da varare con legge costituzionale, che prevede una modesta sforbiciata del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, il rafforzamento dei poteri del capo del governo che avrà la possibilità di nominare e revocare i ministri, l'introduzione della cosiddetta "sfiducia costruttiva". È intuitivo il fatto che all'eventuale nuova legge elettorale, così come è stata pensata, debbano necessariamente accompagnarsi gli interventi di natura costituzionale. Un solo esempio: l'indicazione preventiva del premier rischia di confliggere con l'articolo 92 della Costituzione che riserva al presidente della Repubblica la prerogativa di nominare il presidente del Consiglio dei ministri. Si dirà: anche oggi è invalsa la prassi di indicare sulla scheda il nome del candidato premier. Ed è vero, come è vero che il capo dello Stato ha finito per accettare questa indicazione dopo i risultati elettorali, ma è anche vero che il Mattarellum prima e il Porcellum, poi, garantivano l'uscita dalle di una coalizione che deteneva la maggioranza assoluta in Parlamento. Era, diciamolo francamente, l'effetto della vocazione bipolare impressa da quelle leggi elettorali. Quando le coalizioni di governo, in qualche misura, sono entrate in crisi, la sola ipotesi di sostituzione del premier ha messo in fibrillazione il sistema politico e ha alimentato polemiche sul possibile tradimento della volontà popolare e sulla frattura che si andava manifestando tra una "costituzione formale" e una "costituzione materiale". Il progetto Alfano-Bersani-Casini - l'ABC, se vogliamo, della futura terza repubblica - mette da una parte, piaccia o non piaccia, la vocazione bipolare. Che i partiti si presentino alle elezioni non più collegati in coalizioni implica che dalle urne non potrà automaticamente venir fuori la coalizione di governo. Questa dovrà formarsi - come accadeva ai tempi della prima repubblica - all'indomani delle elezioni sulla base dei rapporti di forza tra i partiti e sulla base di trattative. Non basta. Nella fase elettorale i cittadini non avranno neppure la possibilità di conoscere il futuro programma di governo perché ogni partito, giocando in proprio, avrà un "suo" programma elettorale e tenderà, anzi, a massimizzarlo con il "gioco al rialzo" delle promesse elettorali per acquisire maggiori consensi. Il programma della coalizione di governo, insomma, verrà alla luce solo all'indomani del voto e non coinciderà con nessuno dei programmi dei partiti che la costituiscono, proprio frutto di trattative e compromessi. Nel progetto ABC ci sono, poi, altri aspetti contraddittori: il cosiddetto "premio di governabilità", per esempio, rischia di essere vanificato se attribuito a più partiti e, ancora, la "soglia di sbarramento", pensata essenzialmente per evitare la frammentazione delle forze politiche in Parlamento, rischia, a sua volta, di essere vanificata dal cosiddetto "diritto di tribuna" per i partiti che non sono riusciti a superarla. Tutto ciò, nel complesso, potrebbe far compiere un passo indietro al sistema politico italiano ricreando le condizioni tipiche degli anni della prima repubblica, archiviando il bipolarismo e ridando spazio, troppo spazio, a quella che il grande politologo francese Maurice Duverger, uno dei padri dell'approccio scientifico allo studio dei partiti, chiamava la "palude" del sistema politico. Che la legge elettorale vigente abbia bisogno di essere rivista e corretta non v'è dubbio. Ma bisogna farlo in modo tale da non intaccare la prospettiva bipolare del sistema. L'accordo ABC rischia, se non verrà corretto, di passare alla storia (sempre ammesso che, alla fine, venga approvato) come un tentativo dei partiti di riconquistare spazi e margini di operatività in un momento di eclissi della politica.