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Gli onorevoli si «tagliano» Ma con prudenza

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i.Pdl, Pd e Udc hanno raggiunto l'intesa: dalla prossima legislatura gli inquilini di Montecitorio passeranno da 630 a 500 mentre quelli di Palazzo Madama da 315 a 250. Un piccolo taglio, quello ipotizzato da Alfano, Bersani e Casini nel vertice di pochi giorni fa. Ma perfettamente in linea con le riduzioni piuttosto «prudenti» che i parlamentari hanno stabilito finora. L'unica modifica rilevante è stata il passaggio dal sistema pensionistico retributivo a quello contributivo dal 1° gennaio 2012. Cioè l'addio al vitalizio, che però sarà operativo solo per quelli che saranno eletti per la prima volta nella prossima legislatura. Infatti i parlamentari eletti nel 2008 avranno lo stesso il vitalizio, soltanto un po' ridotto, calcolato su 3 anni e mezzo di sistema retributivo invece che su 5. Poi sono bloccati (dal 2008) gli aumenti automatici dell'indennità di deputati e senatori. Comunque, tra diaria e rimborsi, un onoreole senza altre cariche (presidente dell'Aula, vice o membro dell'ufficio di presidenza) mette in tasca 12 mila euro netti al mese. Il 1° marzo cambierà la normativa per ottenere i soldi del «rapporto eletto-elettori»: 3.690 euro al mese (4.180 per i senatori) che ogni deputato riceve per pagare le spese di iniziative politiche e gli addetti alla segreteria. Tra dieci giorni metà della cifra sarà data a forfait, il resto soltanto dopo la presentazione delle carte giustificative. Sulla riduzione dei parlamentari non si è andati oltre il taglio di 195 poltrone. Almeno sulla carta. Ma Pd, Pdl e Udc puntano ad approvare la riforma fra tre mesi. Poi toccherà alla legge elettorale. Si sta ragionando su un sistema misto, proporzionale, che per la Camera prevede 232 seggi assegnati con collegi che sarebbero gli stessi previsti dal Mattarellum per il Senato e 232 su base circoscrizionale, con listini di tre nomi e uno sbarramento implicito intorno al 6-7%, oppure con un collegio unico nazionale con uno sbarramento implicito del 3-4%. La prima ipotesi premierebbe i due partiti più grandi, la seconda lascerebbe più spazio alle forze di centro. Vi sarebbero poi 8 seggi per la Camera (4 per il Senato) per le circoscrizioni estere. Si sta ancora ragionando su come ripartire gli altri 28 seggi. È possibile che una piccola quota, 2-3, sia garantita come diritto di tribuna ai partiti che non superano la soglia di sbarramento. Il resto potrebbe essere un premio al partito, o all'alleanza, che ha avuto più voti. Per il Senato, il meccanismo sarebbe lo stesso ma i senatori dovrebbero essere la metà dei deputati. Non sarà facile trovare la quadra. Lo dice Dario Franceschini (Pd): «Ci sono forze dentro e fuori il Parlamento che cercheranno di far saltare le riforme, compresa quella elettorale», ha avvertito, «anche per alimentare l'antipolitica. In quel caso, dovrà essere chiaro di chi è la responsabilità e che per quanto ci compete abbiamo fatto il possibile». Nel frattempo i componenti delle commissioni Affari Costituzionali e Lavoro della Camera chiedono che il governo attui quanto prima la norma che pone un tetto massimo per gli stipendi dei manager pubblici.

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