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Schifani taglia gli stipendi ai senatori

Il presidente del Senato Schifani

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«Il Consiglio di presidenza ha deliberato all'unanimità la rinuncia all'aumento dell'indennità netta dei parlamentari frutto del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo». Dopo tre ore di riunione, Renato Schifani, presidente del Senato, può finalmente tirare un respiro di sollievo. E così dopo i "tagli", o per meglio dire i "non aumenti" che si sono imposti i deputati, è toccato ai senatori dare l'esempio. Anzi a Palazzo Madama sono andati oltre. E infatti non solo hanno rinunciato all'aumento dell'indennità netta frutto del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo ma hanno, come continua Schifani, «deliberato di destinare il risparmio che deriva dal blocco dell'aumento all'economia del Senato: verrà quindi ridotta la richiesta di dotazione al ministero dell'Economia di 6 milioni di euro all'anno». Come se non bastasse, «abbiamo deciso di destinare il 50% del rimborso spese per il rapporto eletto-elettore a spese rendicontate», ha sottolineato il presidente dell'Aula aggiungendo che, come alla Camera, è stato deliberato anche «il taglio del 10% di tutte le indennità di carica», cioè presidente, vicepresidenti, presidenti di Commissione. Una sforbiciata è stata data, poi, anche ai privilegi per gli ex. La seconda carica dello Stato ha ribadito che «entro il mese di febbraio convocherò un Consiglio di presidenza per dare attuazione alla temporaneità dei benefit per gli ex presidenti del Senato». Infine la «bella novità» è che «dall'anno prossimo il Senato non pagherà più un milione e mezzo di euro per l'affitto di un magazzino nel quartiere Trullo di Roma. Faremo proficuamente uso di un bene demaniale collocato sempre in quella zona che ci costerà solo gli oneri della ristrutturazione». Ma è proprio sul taglio del 13%, circa 1.300 euro lordi mensili dell'indennità, che Paolo Franco, senatore questore della Lega, rivendica un merito, ovvero quello di aver convinto tutti i colleghi a non far finire questi soldi in un fondo come deciso alla Camera, ma di restituirli allo Stato. Intanto, mentre la "casta" sforbicia, i "bortaborse" protestano: «Dopo tanto rumore sulla questione dei collaboratori parlamentari gli Uffici di Presidenza hanno deciso di non decidere. Se va bene, si mantiene lo status quo senza intravedere nessun impegno concreto per il futuro: un'occasione mancata. L'ennesima». Una dura constatazione contenuta in una nota a firma dei Collaboratori Parlamentari di Camera e Senato: «Ci saremmo aspettati almeno una definizione dei criteri cui ci si intende ispirare per dare una disciplina organica alla nostra figura.Dichiarare genericamente che si terrà conto anche delle esperienze degli altri parlamenti europei ci sembra francamente poca cosa». «Nonostante questo, ci aspettiamo di essere coinvolti come esperti nella redazione della proposta di legge che però, giova ricordare, se davvero vorrà ripercorrere il modello europeo, dovrà contenere pochi e qualificanti elementi: individuazione di un fondo vincolato all'assunzione dei collaboratori e gestito, a nome del deputato, dal Parlamento; definizione di una tipologia di contratto - fiduciario ma con garanzie e tutele definite - e individuazione di una sorta di reddito minimo per evitare il proliferare di forme e condizioni di lavoro non sempre dignitose».

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