L’illusione dei "tecnici puri" Adesso c’è bisogno di politica

Se tre indizi fanno una prova, figuriamoci se sono almeno il doppio. E aumentano. «Far cadere il governo Monti sarebbe da irresponsabili» lo ha detto ieri sera Silvio Berlusconi. La tentazione di staccare la spina, sincera oppure no, pare allontanarsi. Poche ore prima da Parigi era stato lo stesso premier a lanciare una sorta di appello: «Non ho mai amato l'espressione "governo degli esperti" o "governo dei tecnici". Ho cercato di costruire un esecutivo politico, chiedendo ai partiti che lo sostengono in Parlamento di fornire un loro rappresentante. Non è stato possibile, ma è comunque un governo politico». Mario Monti si riferisce all'invito rivolto a Gianni Letta ad entrare nel governo in rappresentanza del centrodestra; invito accettato ma al quale fu opposto il veto del Pd. Andiamo avanti. In una delle agitate riunioni del Pdl di queste ore il segretario Angelino Alfano ha dovuto alzare la voce: «Nel governo dobbiamo esserci, non votare turandoci il naso. Dobbiamo esserci altrimenti noi non conteremo più nulla e Monti rischierà di andare a sbattere. A quel punto arriverà il soccorso, tutt'altro che disinteressato, del Pd». Per i duri d'orecchio, Alfano ha dato un po' d'interviste: «Fin qui abbiamo sostenuto Mario Monti con dei ma e dei se che hanno annacquato il nostro sostegno. Da oggi servono meno ma e meno se, e più proposte concrete». E poi: «A chi crede che i partiti siano inutili suggerirei di pensare a cosa sarebbe il governo tecnico senza il supporto dei partiti. Assolutamente nulla. Questo esecutivo c'è perché le principali forze politiche hanno ritenuto pericoloso per l'Italia andare al voto in questa congiuntura. L'anno prossimo si andrà alle urne e a quel punto i partiti esprimeranno la propria proposta e i cittadini giudicheranno». Insomma, Berlusconi e il suo delfino (che nuota in acque sempre più aperte) sembrano ormai traguardare la fine naturale della legislatura nel 2013, e non intendono far cadere Monti. Anzi, la tentazione è di appropriarsene: cosa non facile, conoscendo l'opinione (alta) che ha di sé l'oggetto dell'interesse. Eppure anche nel rimpianto di Monti per non aver potuto prendere a bordo uno come Letta c'è l'ammissione del deficit di politica di cui il suo governo inizia a soffrire. Non è un problema di etichetta, ma soprattutto pratico; e la questione sfata molti luoghi comuni sul fatto che i mercati la facciano fino in fondo da padroni sulla politica. Lo testimonia una rapporto di Citigroup, citato dal Foglio, intitolato Talking about Italian politics. La grande banca americana si domanda che cosa c'è da attendersi dalla vita pubblica del nostro paese nel prossimo futuro, anche per orientare in base a questo le mosse dei money makers. Con notevole acutezza il dossier fissa lo spartiacque ad aprile prossimo: la deadline oltre la quale non sarà più possibile convocare le elezioni anticipate, e quindi Monti dovrebbe avere le mani più libere. «Teoricamente però» scrivono i due analisti «perché finora le sue riforme sono state un po' timide ad il premier avrà comunque bisogno di consenso». Un altro apparente alleato dei tecnici sono i 150 miliardi di bond da piazzare sui mercati da qui ad aprile: ma, osserva Citigroup, si tratta anche di un rischio perché se le aste non fossero soddisfacenti si riaffaccerebbe l'incubo del Fondo monetario internazionale, con conseguente scenario greco. «C'è qualche deputato italiano che si prende questa responsabilità?» Vero, ma ora che le manovre di bilancio sono blindate dentro il fiscal compact merkeliano, come pensano i tecnici di portare a casa le due riforme vere che hanno davanti (e su cui si sono impegnati con Bce e Commissione europea): quella del mercato del lavoro e quella fiscale? A dimostrare quanto quella dei tecnici duri e puri sia un'illusione, e che il loro non è per definizione il "governo dei migliori", sono un altro gruppo di banche che mettono a paragone il rischio Grecia (governata dai tecnici e con le elezioni alle porte) e quello del Portogallo a guida politica-conservatrice. Nonostante che il pericolo portoghese stia diventando il nuovo tormentone europeo, su dodici indicatori presi in esame da Morgan Stanley, Bri e Intesa Sanpaolo, solo tre giocano a favore di Atene. Mentre il maggiore asset di Lisbona resta proprio la stabilità politica interna: a condizione certo che si facciano le riforme. Del resto qualcuno pensa che la stessa Angela Merkel sia solo una Iron Lady con la testa alla finanza? Errore: la Cancelliera (laureata in fisica con tesi sulla chimica quantistica) anticipa e sottopone ogni decisione ai consessi più o meno allargati del suo partito, la Cdu. E dopo aver perso tutte le elezioni locali nel 2011 a causa del malcontento economico, ora è sulla forza del Bund e sull'indice manifatturiero in ripresa che recupera consensi per la rielezione nel 2013. Ancora peggio va a Nicolas Sarkozy. In netto ritardo nei sondaggi per le presidenziali di aprile, ha fatto qualcosa di inaudito per un francese, chiamando al proprio fianco nelle piazze proprio la Merkel, che a sua volta vede un successo del socialista Hollande come una minaccia per l'asse germanico, e quindi per se stessa. Roba da far rivoltare i fantasmi di De Gaulle e Mitterrand. Chiamatela eterna politica che sbuca da dietro gli spread, ed ovviamente se ne serve. Ma se questo vale a Berlino e Parigi - per non parlare di Washington e Londra - non si capisce perché se ne possa fare a meno a Roma.