Berlusconi sale al Colle e si dimette

Non è la fine di un governo. È la fine di un'epoca. Silvio Berlusconi s'è dimesso. Impressionato, sconvolto dalle contestazioni, dalle grida di "Buffone, buffone" che lo hanno rincorso per tutti i palazzi della Capitale dove s'è recato. «Ma come? Io faccio un passo indietro, dimostro responsabilità, il mio è un atto d'amore nei confronti dell'Italia e così mi ringraziano?». In verità, la domanda che si fanno tutti nel Pdl è quale sia la contropartita di tutto ciò. Italo Bocchino, vicepresidente di Fli, una risposta ce l'ha: «O si dimetteva o lo cacciava la folla». Il Pdl invece non riesce a capacitarsi. Berlusconi era a capo di un governo mai sfiduciato, che aveva la maggioranza al Senato e quasi alla Camera. Lascia a Monti che vede a pranzo. Incontro che va male perché il Cavaliere chiede al professore di mettersi alla guida del governo attualmente in carica, praticamente di sostituirlo ma Monti rifiuta spiegando che vuole fare un esecutivo solo di tecnici. Il Cavaliere chiede che ne faccia parte Gianni Letta ma il suo successore in pectore riferisce che è impossibile, c'è un veto del Pd che vuole netta discontinuità con l'attuale esecutivo. Chiede di confermare qualche ministro e Monti risponde che pensa di lasciare al suo posto soltanto Franco Frattini (sono stati entrambi commissari europei) agli Esteri controbilanciato da Giuliano Amato agli Interni. Ma Berlusconi non ci sta perché nel caso è lui che vuole fare un nome. In serata è lo stesso Gianni Letta a fare un passo indietro: «Non voglio costituire né problema né ostacolo», riferisce lo stesso sottosegretario al presidente della Repubblica. In pratica nell'incontro con il prescelto dal Quirinale Berlusconi non ottiene proprio nulla. E incassa anche una sorta di minaccia perché Monti fa capire che se non sarà appoggiato dal centrodestra, farà comunque il governo con il centrosinistra e poi si candiderà contro alle prossime elezioni con l'alleanza Pd-Udc rendendo di fatto un nuovo successo del centrodestra. Eppure, nonostante il Cavaliere abbia incassato solo no, nella successiva riunione dell'ufficio di presidenza del Pdl si presenta lasciando intendere che ha già chiuso l'accordo: il partito ha assicurato il sostegno alla nascita del governo Monti. Punto e basta. Poi, certo, si svolge una libera e democratica discussione. Le posizioni sono già note: Rotondi, Matteoli, La Russa, Martino e Santanché (che non fa parte dell'organismo ma vi partecipa lo stesso) sono per andare al voto. Gli altri sono d'accordo con l'esecutivo tecnico. Alfano si premura di spiegare che il dibattito è aperto, l'importante è che alla fine si salvaguardi l'unità del partito. E il Pdl resta unito. Almeno per ora. Su una linea vaga. Si chiede di insistere per Letta e di chiedere, come già era circolato ieri, un governo che proceda nel solco della lettera all'Unione europa, attuanto l'agenda già approvata dagli organismi continentali. L'unico concetto che si lascia scappare Berlusconi è «l'Italia è seriamente a rischio defoult» e dunque «non possiamo assumerci la responsabilità che i mercati ci affondino già all'inizio della prossima settimana». Prova a rassicurare i riottosi tra i suoi. Spiega: «Abbiamo i numeri al Senato e tutto sommato anche alla Camera. Abbiamo l'interruttore del governo, quando vogliamo gli possiamo staccare la spina». Ma che governo sarà? Si fanno i nomi di Guido Tabellini, docente alla Bocconi (l'università di Monti) all'Economia: di fatto sarebbe una sorta di interim del presidente del Consiglio. Allo Sviluppo Economico si parla di Carlo Secchi. Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, all'Istruzione; l'ex vicepresidente del Csm, Cesare Miranelli, alla Giustizia. Amato veniva indicato anche agli Esteri, pare sia molto sostenuto dalla Chiesa e meno dal Pd. Si fa il nome di Ezio Castiglione alle Politiche agricole, dicastero dove fu capo di gabinetto con Gianni Alemanno: ha anche seguito il sindaco al Comune come assessore al Bilancio. Alla Difesa Vincenzo Camporini pare abbia vinto il ballottaggio con Rolando Mosca Moschini, che preferisce restare al Quirinale come consigliere per gli affari militari. Antonio Maraschini, ex segretario generale del Senato, è candidato ai Rapporti con il Parlamento. Si guarda a dopo. Anzi, sono tutti già proiettati al dopo. Alla Camera, dove si vota la legge di Stabilità, sono scomparse le minogonne e persino le gonne. Prevale il nero. Colore per Mara Carfagna e per Michela Vittoria Brambilla. Ma anche per Annagrazia Calabria e per i pantaloni di Elvira Savino. Blu scuro invece per Mariarosaria Rossi. Prevale l'austerity. Tutt'altro clima nelle strade e nelle piazze di Roma. Prima una piccola folla davanti a palazzo Chigi. Poi è via via montata davanti a palazzo Grazioli per esplodere in piazza del Quiirnale all'annuncio ufficiale delle dimissioni del premier. Trenini come alle feste di Capodanno, esultanza come al gol di una nazionale e caroselli come alla vittoria di uno scudetto. Scene che sembravano provenissero più da Tunisi, Cairo o Triopoli più che da Roma.