I democratici contestano il rottamatore Renzi

Una grande festa di popolo. Come non se ne vedeva da tempo. A conti fatti, più o meno da 50 anni, quando il glorioso Partito comunista italiano era ancora pienamente in attività. La manifestazione del Pd a piazza San Giovanni è stato un remake di un bel pezzo della storia del '900. Difetti e manie della sinistra tutti in bella mostra. Per capirlo bastano pochi fotogrammi. Si comincia con la contestazione al sindaco di Firenze Matteo Renzi, ospite tutt'altro che gradito e secondo solo a Silvio Berlusconi nella speciale classifica dei cartelli esposti dai militanti. Messaggi carini tipo "Rottamiamo Matteo Renzi" oppure "Renzi torna a casa tua. Arcore". Lui, che fino a prova contraria è esponente Pd e sindaco Pd di una città in cui il Pd ha la maggioranza assoluta e tutti gli assessori, non è voluto mancare alla manifestazione del «suo» partito. Risultato? Fischi e insulti. Matteo ha anche provato, invano, a dialogare con i contestatori, ma poi è stato costretto ad allontanarsi. Così, si è sfogato nel retropalco: «Il Pd è casa mia. E io resto nel partito». Massimo rispetto per chi la pensa diversamente, ma «se la regola del gioco è cacciare l'amico più vicino che dissente piuttosto che cercare un voto dall'altra parte, il Pd non vincerà mai le elezioni». Vizi antichi. Il Pci nacque da una scissione e, ogni volta che qualcuno si è trovato a dissentire dalla «linea ufficiale», la sinistra si è spaccata. Sarà per questo che Renzi, che lascia la piazza prima che il segretario cominci a parlare per partecipare alla commemorazione di Giorgio La Pira, non incassa grande solidarietà dai suoi compagni di partito. Massimo D'Alema lo liquida come «un fenomeno mediatico creato dai giornalisti». Pier Luigi Bersani, invece, glissa sulle contestazioni. «Mi godo questa giornata meravigliosa», replica a chi gli chiede un commento. Secondo fotogramma: il programma musicale messo in piedi per «scaldare la piazza». Entusiasmo alle stelle quando la Med free orkestra intona Bella ciao conquistandosi anche il diritto ad un bis fuori programma con sparuti e malinconici pugni alzati. Tiepida l'accoglienza per i Marlene Kuntz che, pur in pista da quasi 30 anni, forse sono troppo «giovani» per la platea e, soprattutto, hanno la cattiva idea di suonare senza lanciare messaggi politici tipo «Berlusconi se ne deve andare» o «Basta corrotti in Parlamento». Ci pensa Roberto Vecchioni a colmare il gap mettendo in scena un bel comizio vecchio stile. Il Professore entra in scena mostrando il pugno chiuso ed esordisce raccontando di aver perso gli occhiali al ristorante: «Ma un compagno mi ha prestato i suoi». Applausi nostalgici. Poi «scalda» la folla: «Sono felice di essere qui davanti alle persone perbene che ancora ci sono in Italia. Sono qui perché dobbiamo dare un calcio in culo ad una persona. Basta con il governo di larghe intese e tutte 'ste cazzate, se ne deve andare via subito, tra un minuto, tra un secondo». Quindi lancia la sua «rivoluzione arancione»: «Giovedì indossate tutti qualcosa di arancione per fargli capire, per dirgli che deve andare fuori dai maroni. Mettetelo anche ai ragazzi che devono imparare da subito ad essere grandi italiani». Quindi, tra una canzone che parla del rapporto tra il Che e sua madre («Celia de la Serna») e un paio che scatenano Monica Guerritore in prima fila sotto il palco («Chiamami ancora amore» e «Samarcanda»), Vecchioni conclude il suo show. Non senza aver riservato un pensiero a «quelli che c'hanno le corna sull'elmo e girano per il Pd» e «non sono molto colti». A questo punto Bersani potrebbe anche non parlare. Forse per questo, per spegnere la piazza, arrivano un videomessaggio del candidato socialista alle presidenziali francesi Francois Hollande e l'intervento dal vivo del presidente della Spd tedesca Sigmar Gabriel. Quando qualcuno comincia già a lasciare San Giovanni, e dopo l'accoppiata Inno alla gioia-Inno di Mameli, ecco il segretario. Sarà la cravatta rossa d'ordinanza, sarà il traino di Vecchioni, ma Bersani parte subito all'attacco della «destra». Non nomina subito il Cavaliere, ma dopo essersi scagliato contro «i delinquenti fascisti» che hanno aggredito dei militanti Democratici tre giorni fa e che «girano ancora a Roma coccolati e impuniti», rivolge il suo sguardo all'Europa. «La malattia - spiega - è l'Europa delle destre, l'Europa azzoppata dalla destre. L'Europa della signora Merkel e del signor Sarkozy». Proprio quelli che, con i loro risolini complici, sono stati utilizzati dal Pd nello spot che lanciava la manifestazione di ieri. E Berlusconi? Lui, ovviamente, «deve andare a casa». Come? Va bene tutto: «O ci va da solo o ce lo manderemo noi o in Parlamento o alle elezioni». L'importante è il risultato. E comunque la destra continuerà ad esserci «forte», «aggressiva» e «cattiva». Il Pd è pronto a fare la sua parte per la «ricostruzione» del Paese. Un vero progetto ancora non c'è, la strada è quella di «un'alleanza tra progressisti e moderati». Un patto con «le forze di Centro». Nel retropalco ci sono Antonio Di Pietro, il socialista Riccardo Nencini, il verde Angelo Bonelli, la segretaria della Cgil Susanna Camusso. Di Pier Ferdinando Casini nemmeno l'ombra.