Bersani tentenna sulle pensioni

Il messaggio è sempre lo stesso: Silvio Berlusconi deve dimettersi. Pier Luigi Bersani lo ripete da mesi come un disco rotto. Tanto da conquistarsi imitazioni e commenti sarcastici. Ma il segretario del Pd non ha alcuna intenzione di cambiare linea. Forse perché, in questo modo, non è obbligato ad affrontare i problemi nel merito ed ha sempre una comoda via d'uscita per cavarsi d'impaccio. E in effetti ieri, presentandosi davanti ai giornalisti convocati nella sede di Sant'Andrea delle Fratte, il leader democratico è apparso un po' impacciato. Non solo per la fastidiosa influenza che lo ha colpito. In mattinata Bersani non era a Roma ma in Emilia Romagna dove, a Bologna, ha avuto un incontro faccia a faccia con il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini. Così è toccato al vicesegretario Enrico Letta salire al Quirinale per incontrare il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Quando gli viene chiesto quale sia stato l'oggetto dell'incontro e se sia stato il Presidente a convocare i Democratici, Bersani si blocca qualche secondo, poi spiega che si tratta di «un giro di opinioni che Napolitano sta raccogliendo» e che comunque, Letta «ha detto più o meno le cose che ho detto io, magari con toni diversi. Serve discontinuità. In queste condizioni non è possibile portare avanti un lavoro serio». Probabile che sia andata così. Ma è difficile non sottolineare due particolari. Il primo è che il vicesegretario del Pd è sicuramente uno degli esponenti democratici più vicini a Napolitano con il quale ha un rapporto preferenziale. Secondo che sul tema caldo delle pensioni la sua posizione è molto diversa da quella del segretario. Non a caso, ieri mattina, intervistato dalla Stampa, Letta spiegava che occorre alzare l'età pensionabile «come in tutta Europa. E con le risorse ottenute, da investire nel welfare, bisogna risolvere il problema dei giovani, sia in termini di incentivi occupazionali che di pensioni per il loro futuro». Meno determinata la posizione di Bersani: «Si può fare qualcosa, ma non facciamo partire leggende metropolitane. Noi arriveremo a 67 anni prima della Germania e abbiamo un'età di pensionamento superiore a quella della Francia. È possibile introdurre dei meccanismi di flessibilità con incentivazioni e disincentivazioni». Ma il tutto deve trovare spazio all'interno di «un pacchetto di riforme» più ampio che comprende sicuramente liberalizzazioni e una modifica dell'assetto fiscale con l'introduzione di «misure che calchino sulle rendite a partire dai grandi patrimoni immobiliari». E comunque, la prima condizione resta un passo indietro di Berlusconi. Perché anche se le risatine di Merkel e Sarkozy sono assolutamente «inaccettabili» («Gli italiani non sono solo Berlusconi e vanno rispettati»), per Bersani sono il sintomo di ciò che il Pd va ripetendo da mesi: l'esecutivo è arrivato a fine corsa e, dopo non aver fatto nulla in questi tre anni, non può più sperare di recuperare. Per questo serve «un gesto. Dovrebbero dire basta, ce ne andiamo, passare la mano». E poi? Il segretario non si sbilancia («tempi e modi li decide il Quirinale»), ma anche qui Letta si mostra più coraggioso invocando un esecutivo di transizione con i Democratici pronti a prendersi «ogni responsabilità», su tutte quella di realizzare quelle riforme che l'Europa chiede.   Insomma il Pd sembra diviso tra chi vuole osare (oltre a Letta anche Dario Franceschini e Walter Veltroni) e chi invece, come Bersani, resta alla finestra nella speranza che Berlusconi si faccia male da sé. O, magari, non si faccia proprio male.