Venti minuti di Aventino. Poi in piazza a dichiarare

L'Aventino delle opposizioni dura poco più di 20 minuti. Giusto il tempo che il premier Silvio Berlusconi impiega per le sue comunicazioni davanti all'Aula. In realtà, prima, l'assemblea di Montecitorio dimezzata, aveva svolto i propri compiti formali approvando il verbale della seduta precedente. Il che vuol dire che, a conti fatti, i minuti non saranno stati più di 15. Poi, tutti in piazza a dichiarare, a spiegare che il discorso del Cavaliere è aria fritta e che se il premier vuole veramente bene al Paese non può far altro che dimettersi. Così, l'eclatante gesto di protesta si trasforma subito in una passerella a favore di telecamera. Assenti in Aula, ma presentissimi in televisione. A dire il vero, alla fine, anche sugli scranni della Camera qualcuno presente c'era. Una piccola «macchia» in alto, all'estrema sinistra dell'emiciclo. I sei Radicali eletti nelle file del Pd hanno infatti deciso di fare di testa propria (come accade sempre più spesso) e di partecipare alla seduta per «rispetto delle istituzioni» e rilanciare con forza «il problema della giustizia e delle carceri». Un gesto che Pier Luigi Bersani commenta secco: «I Radicali si sono autosospesi, ne prendiamo atto. Seguano la loro strada, affari loro». Mentre Rosy Bindi si sfoga con Gianfranco Fini: «Non so ancora per quanto il mio partito dovrà sopportare quest'umiliazione!» Dopotutto l'opposizione è questo: ognuno viaggia per conto proprio. Basterebbe un'immagine per capirlo. Appena finito il discorso di Berlusconi giornalisti e telecamere si precipitano in piazza Montecitorio in attesa di Antonio Di Pietro. Peccato che quando il leader Idv fa capolino a piazza Colonna, dalla direzione opposta arrivi di gran carriera Bersani. Così i due si pestano i piedi per un bel po' alternandosi davanti ai microfoni e ignorandosi cordialmente. Fino a quando Tonino, vedendo «l'alleato» allontanarsi dalla piazza lo chiama. Il segretario del Pd si gira quasi stupito e se la cava con una battuta: «Non ti avevo visto, pensavo fossi in Aula». Foto di rito con sorriso d'ordinanza e tutti felici e contenti. Ma nella gara a dichiarare i due leader arrivano tardi. Il vicesegretario democratico Enrico Letta lo ha già fatto dagli schermi di SkyTg24. In Transatlantico il più lesto è stato Italo Bocchino mentre il deputato Idv Antonio Borghesi, un po' clandestinamente e nascosto in un angolo, si è concesso l'ardire di anticipare l'ex pm. E Pier Ferdinando Casini? Furbescamente fa sapere attraverso i suoi collaboratori che «se ha guardato il discorso del premier, lo ha fatto da casa». E comunque non dichiarerà prima di metà pomeriggio. Perché saranno anche rimasti fuori dall'Aula, ma tutti hanno trascorso quei lunghissimi 20 minuti incollati al televisore ad ascoltare Berlusconi. Di Pietro nella sede del suo partito in via di Santa Maria in Via, Bersani nell'ufficio del capogruppo Pd Dario Franceschini. E pensare che le deputate democratiche Sabina Rossa e Rosa Villecco Calipari fuggono alla chetichella dal Transatlantico appena capiscono che la seduta sta per cominciare. Guai a farsi vedere davanti ad uno schermo mentre il premier parla. In compenso fa la sua apparizione l'ex segretario di Rifondazione, oggi in Sel, Franco Giordano. Più tardi arriveranno anche Alfonso Gianni e Giovanni Russo Spena. Loro, in fondo, l'Aventino l'hanno già fatto tre anni fa, rimanendo fuori dal Parlamento alle elezioni politiche del 2008. Restano in piazza, invece, i Verdi guidati da Angelo Bonelli (anche loro aventinisti ante-litteram) che protestano fuori da Montecitorio al grido: «Non saremo più responsabili delle nostre azioni». Intanto nella sala stampa della Camera il vicepresidente del Pd Ivan Scalfarotto ha convocato una conferenza per lanciare «Paola I - Undici idee per l'Italia» che raccoglie le foto della serata organizzata il 7 luglio da Officine Democratiche, think thank del Pd fiorentino che si sta espandendo in altre città. Con lui anche la deputata Anna Paola Concia. Ora dell'appuntamento: 11.30. Appena il Cav ha finito di parlare. E come «funghi» spuntano anche altri parlamentari delle opposizioni che hanno disertato l'Aula. Matteo Colaninno mangia qualcosa alla buvette. In cortile Donato La Morte fuma assieme al Guardasigilli Francesco Nitto Palma. Arrivano Flavia Perina e Fabio Granata. E poi, mentre la discussione prosegue senza che molti vi prestino grande attenzione, ecco Antonello Giacomelli e Beppe Fioroni. Insomma, piano piano, il Palazzo riprende la sua vita normale. E l'Aventino è già negli archivi, poco più di una foto per i giornali. D'altronde basta grattare sotto la superficie per capire che quello di ieri è stato più l'incontro di interessi comuni che l'inizio di una strategia politica. Una riedizione del sempreverde «tutti contro Berlusconi». Difficile andare oltre. Lo confermano le dichiarazioni di Bersani che, interrogato dai giornalisti, se la cava di mestiere. Cade il governo? «Non voglio fare previsioni sulla durata ma se cadesse o loro provano a fare una altro governo di destra e stiamo all'opposizione, o noi siamo pronti a discutere un governo di transizione con persone autorevoli. Ma se non c'è questa possibilità si vada a votare perché qualcosa bisogna fare». Insomma, va bene tutto, purché il Cavaliere si levi di torno. Non male come linea politica. E anche sull'Aventino la risposta del segretario è illuminante: «Il nostro non è un Aventino ma un segnale chiaro di dissociazione da un modo di procedere che colpisce nel profondo i meccanismi democratici. Oggi è avvenuto un gesto nuovo ma da qui alla coalizione non è semplice. Oggi si è raffigurato ancora una volta il problema Berlusconi che sta lì, chi fa gare per uno 0,5% in più o storce il naso per la nostra proposta di unire progressisti e moderati si deve prendere la responsabilità». Parole forse rivolte all'Udc, anche se Bersani farebbe bene a guardare altrove. Di Pietro ha infatti annunciato che è pronto a candidarsi alle primarie di coalizione: «Spero che si facciano al più presto. Da un momento all'altro questo governo esplode e noi dobbiamo essere pronti sia sul piano programmatico sia sul piano della leadership». E Bersani rimpiange già quei lunghissimi 20 minuti di unità e silenzio.