Draghi se ne va ma lascia la traccia

Mario Draghi lascia il timone della Banca d'Italia e nel farlo, in una delle ultime occasioni ufficiale prima della sua partenza per Eurotower, affida alla sua relazione la traccia per chiunque guiderà il Paese nei prossimi anni. Il suo intervento però è una ricetta che investe tutti gli italiani. Nessuno escluso, visto che la «salvezza e il rilancio» dell'Italia possono arrivare solo dagli stessi italiani e non da interventi esterni. Occorre «agire con rapidità» visto che «è già stato perso troppo tempo» e si rischia di non governare più il debito finito in una «spirale» spiega il numero uno di via Nazionale di fronte al presidente Giorgio Napolitano. Classico stile anglosassone nella relazione composta di sole 7 pagine. E parole chiare per spronare il paese e la sua classe politica a uscire dalla crisi, a «ritrovare la coesione» mettendo da parte le fazioni, spezzare i veti incrociati e a mostrarsi un «partner credibile» verso quell'Europa e la stessa banca centrale che ci chiede «impegni particolarmente rilevanti». Parla mentre fuori dalla sede i giovani «indignati» protestano, tenuti a distanza, contro le ricette della Bce e dello stesso Draghi il quale sottolinea nel suo discorso, come già qualche giorno fa, che «senza i giovani non c'è crescita».   «Il risanamento della finanza pubblica e il rilancio della crescita non sono una imposizione esterna, sono problemi che vanno risolti soprattutto a beneficio dell'Italia» rileva aprendo la tre giorni di convegni dedicati all'economia dell'Italia nei 150anni dell'Unità. «È un dovere verso i giovani prima che verso noi stessi» aggiunge. Il Governatore entra poi nel merito delle azioni urgenti e ineludibili: «È necessario che i decreti attuativi siano promulgati senza indugio, soprattutto quelli con riferimento alla riduzione permanente della spesa corrente» e occorre dare vita ai provvedimenti sulla crescita, senza la quale «lo stesso risanamento della finanza pubblica è a repentaglio». «Non bastano» infatti gli interventi realizzati nella scorsa estate che avviano «la finanza pubblica su una maggiore sostenibilità». E solo non perdendo ulteriore tempo si potrà evitare che una permanenza prolungata di tassi di interesse elevati (dovuti ai forti spread) porti all'effetto di vanificare in non piccola parte le misure di risanamento», con l'effetto negativo sul costo del debito, in una spirale che potrebbe risultare ingovernabile». Agli italiani e solo a loro spetta dunque riavviare la crescita evitando il vecchio vizio, e qui Draghi cita Manzoni, di attendere che un esercito d'Oltralpe risolva i nostri problemi. Le capacità, le energie ci sono ma come nella Venezia seicentesca, ricca ma avviata al declino e chiusa «nella difesa dei piccoli o grandi privilegi acquisiti da gruppi sociali organizzati» occorre rompere il circolo vizioso di veti e posizioni che bloccano la crescita. «Un compito insostituibile che spetta alla politica» ammonisce Draghi. L'inquilino di Palazzo Koch arriva a Francoforte nel pieno di una crisi dell'euro che non sarà facile governare. A mettere in pista una strategia difensiva, almeno i primi tasselli, è il presidente della Commissione Ue che annuncia il piano di Bruxelles per salvare le banche. Non si parla di cifre ma l'effetto annuncio spinge le borse. Barroso lo presenta come la «road map» per uscire dalla crisi che prevede una ricapitalizzazione urgente, con sforzi privati prima di tutto e stop delle cedole, ma anche l'anticipazione di un anno del fondo salva-Stati permanente e la minaccia di «commissariamento» dei governi che sforano i conti, con il controllo preventivo sulle finanziarie di quelli con debito elevato. «L'incertezza costante sul mercato dei debiti sovrani ha portato ad una volatilità estrema e mette le banche sotto crescente pressione» esordisce Barroso, elencando poi i passi da fare per rafforzare il capitale degli istituti, e «ridare fiducia» al settore. Uno sforzo che va condiviso da Commissione Ue, Stati membri e autorità bancaria europea (Eba), e che riguarda tutte le banche sistemiche, in pratica tutte quelle interessate dagli stress test.   L'intervento «coordinato» parte dall'analisi dell'Eba sui capitali che terrà conto delle esposizioni su tutti i debiti sovrani (sia nei banking book che nei trading book), e renderà necessario un ratio di capitale significativamente più alto e delle massima qualità al netto delle esposizioni al debito. «La definizione di capitale coincide con quella prevista dall'accordo di Basilea 3 relativa alla scadenza del 2015», si legge nel piano Ue. Secondo alcune fonti, si potrebbe invece prevedere un innalzamento del «Core Tier 1» (la componente primaria del capitale di una banca), dal 7% di Basilea al 9%, che potrebbe costringere gli istituti a dover trovare 275 miliardi di euro, secondo le stime di analisti. Le banche che non avranno capitali sufficienti dovranno presentare piani di ricapitalizzazione e da quel momento non potranno più distribuire dividendi e bonus. I capitali saranno prima di tutti propri, ma se non fossero sufficienti interverranno i governi. E solo in ultima analisi si ricorre all'Efsf. Draghi troverà così un alleato a Bruxelles. Chissà forse il nuovo asse riuscirà a buttare nel cestino quegli odiosi rapporti delle agenzie di rating Usa e riporterà fiducia tra gli investitori.