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Le brame giustizialiste della base leghista non si placano e così il Carroccio corre ai ripari.

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Ecosì ecco che la Padania di ieri ha dedicato un'intera pagina del quotidiano, la dodici, per spiegare i motivi che hanno portato i deputati nordisti a "scagionare Romano". Un articolo a firma dell'onorevole Luca Paolini, componente leghista della Giunta per le autorizzazioni della Camera, intitolato «Prove inconsistenti, accuse demagogiche» nel quale il deputato spiega, in quindici punti, alcune delle motivazioni che hanno spinto il gruppo di Montecitorio a votare «no» alla sfiducia per il ministro. «Ho letto - seppure in fretta - l'ordinanza con cui il Gip chiede la c.d. "imputazione coatta" ossia quando chiede, in DISSENSO al P.M., che il processo si faccia». Questo è l'incipit del pezzo scritto da Paolini, che continua: «Non essendo disponibili- almeno finché non arriveranno in Giunta - gli atti del processo, mi sono basato esclusivamente su contenuto della predetta ordinanza, di circa 100 pagine. In casi del genere penso ad Enzo Tortora, o ai tanti processi fondati su "teoremi" e poi crollati miseramente, ma che hanno lasciato strascichi umani - ed economici - indelebili nei "processati" per 5, 10, 15, 20 anni e, poi, risultati del tutto innocenti». Una sorta di giustificazione «con riserva di ulteriormente precisare all'esito di ulteriori atti eventualemente visionati» (così conclude Paolini), che suona alquanto singolare per un quotidiano che aveva completamente censurato la notizia del salvataggio di Romano dalla prima pagina di giovedì 29 settembre relegando tutta la questione a un piccolo articolo. Ma se la stampa leghista aveva tralasciato l'argomento, la base aveva comunque commentato l'accaduto prendendo d'assalto Radio Padania: «Con la votazione di oggi la Lega ha toccato il fondo», sentenziava un ascoltatore anonimo. «Oggi abbiamo preso una brutta piega, io ho sempre votato Lega, ma mi sa che da oggi molti non la voteranno più» ha poi aggiunto. I problemi al Carroccio però non arrivano solo dalla base. Anche gli antagonisti politici dei Lùmbard continuano a strumentalizzare quel voto per screditare la coerenza leghista. Da ultimo il presidente della Camera Gianfranco Fini per il quale è stato evidente che «il ministro Maroni si è piegato a quella che a suo modo di vedere è una ragion di Stato». Quella di Maroni, però, continua il leader di Fli, «è una ragione politica» dovuta al fatto che Bossi ha dato un'«indicazione prescrittiva e impegnativa per tutti e anche per Maroni» quando ha detto: «non vogliamo far cadere il governo». Ale. Ber.

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