Bossi rilancia la secessione

VENEZIA «Secessione». «Padania libera». Ai leghisti non è rimasto che questo. Un vecchio disco che da più di vent'anni suona sempre la stessa musica. Sempre gli stessi slogan urlati con enfasi ma che alla fine si trasformano in un nulla di fatto. Così accadde a Pontida a metà giugno, così è successo ieri a Venezia quando Bossi ha cercato di galvanizzare il suo popolo giunto lì per la conclusione della tradizionale festa dei Popoli padani. Ma il vento in casa Lega sembra essere cambiato. Qualcuno cerca di dare la colpa all'annunciato brutto tempo, altri, come il segretario del Carroccio Veneto, Giampaolo Gobbo, allo sciopero dei treni («non si è mai visto i ferrovieri incrociare le braccia di domenica») eppure la tanto sperata invasione di Lùmbard alla Riva dei Sette Martiri non c'é stata. E così, di fronte ad una "popolo" sempre più demotivato, il Senatùr ha cercato di lanciare un segnale. Ha tentato di infondere alla sua gente quello spirito "rivoluzionario" che la Lega ha abbandonato da ormai troppo tempo. E così la "base" estremizza. «Secessione», «secessione» è lo sfogo che parte appena l'Umberto si avvicina al palco. Lo stesso era accaduto a Pontida con l'unica differenza: Bossi lasciando il "sacro suolo" della cittadina bergamasca almeno lanciò un ultimatum al governo. Ieri invece nulla. Un discorso piatto, senza enfasi, interrotto, più di qualche volta, da lunghi silenzi durante i quali riprendere fiato. Nessuna proposta, solo le solite affermazioni sui giornalisti «stronzi» o sull'inefficenza del sistema Italia. Tutto uguale tranne un sussulto d'orgoglio verso la fine del suo intervento quando parla di un possibile referendum per la Padania: «Bisogna trovare una via democratica forse referendaria perché un popolo importante e lavoratore come il nostro, non può essere costretto a continuare a mantenere l'Italia». «Adesso basta - continua Bossi - il popolo non può vivere schiavo del centralismo, abbiamo diritto alla nostra libertà, e abbiamo la forza per ottenerla se fosse necessario. L'importante è che ci siano milioni di persone pronte a combattere, fate bene i conti. La faremo finita con questi ladrocini».   E così il "generale" nordista torna a minacciare. Tenta di conquistarsi l'approvazione del suo popolo facendo il guerriero della prima ora eppure il suo corpo lo smentisce. Il braccio ancora fasciato al collo ne è la dimostrazione. «Non correte mai dietro ai figli giù dalle scale, questo è quello che può capitare» è stata la sua giustificazione eppure Bossi sa bene che ormai i suoi 70 anni (li compie oggi, ndr) pesano. Così meglio parlare di pensioni. Questo è il vero motivo d'orgoglio per il Carroccio. «Le abbiamo salvate noi della Lega, se non c'eravamo noi non so come finiva. Ma l'abbiamo spuntata». Quello raggiunto è il risultato di una dura trattativa con il governo in sede di discussione sulla manovra e per questo il Senatùr coglie la palla al balzo per togliersi qualche sassolino dalle scarpe: «Dicono che io mostro il dito? Sì! Io mostro il dito perché so che cosa vuol dire aver lavorato una vita e non essere sicuri di avere la pensione». «Eravamo in pochi - ha aggiunto - ma la vecchia Lega ce l'ha fatta. Abbiamo fatto resistenza e alla fine abbiamo convinto Berlusconi e Tremonti. Sono contento - ha concluso - la battaglia sulle pensioni l'abbiamo fatta per voi, l'abbiamo fatta per i vecchietti, come quello che in un supermercato di Milano era stato beccato a rubare una bistecca perché era senza soldi». E quando un cronista si è permesso di chiedere a Roberto Calderoli se è giunta anche per Bossi l'ora della pensione, la replica è stata secca: «Probabilmente in pensione dovrebbe andarci lei». Infine, dopo ulteriori invettive all'Italia («Così non si può andare avanti, se l'Italia va giù la Padania va su»), o all'Europa («Loro ci hanno imposto una manovra così pesante») ha chiuso la Festa rovesciando l'acqua del Po prelevata dal Monviso e quella del Piave, in Laguna. Una "benedizione" pagana sotto gli occhi della sua gente che forse però a queste cose non crede più.