Il dialogo Lavitola-Cav negli atti non esiste

«Apprendiamo con stupore dai magistrati che l’intercettazione tra Berlusconi e Lavitola non esiste»: è da poco terminato il terzo interrogatorio di Gianpaolo Tarantini nel carcere di Poggioreale e il legale del faccendiere barese Alessandro Diddi rivela tutta la sua amarezza per il rigetto dell’istanza di messa agli atti della telefonata tra il premier e l’editore dell’Avanti! ripresa da «l’Espresso».  «Siamo davvero sconcertati per la ricostruzione mediatica della presunta estorsione - spiega Diddi, che assiste l'imprenditore pugliese insieme a Ivan Filippelli - ricostruzione che non trova corrispondenza nella realtà processuale». Si configurano così tutti gli elementi di un vero e inatteso giallo intorno alla conversazione del 24 agosto scorso. Il settimanale del gruppo De Benedetti, infatti, aveva evidenziato lo scambio di battute nel quale Lavitola chiedeva consiglio al Cavaliere («Che devo fare? Torno e chiarisco tutto?». Berlusconi rispose: «Resta dove sei»), ma aveva anche riportato affermazioni inequivocabili della presunta vittima di estorsione: «Ho aiutato una persona e una famiglia (i Tarantini ndr) con bambini che si trovava e si trova in gravissime difficoltà economiche (...). Non ho nulla di cui pentirmi, non ho fatto nulla di illecito». «Domenica pomeriggio - aggiunge Diddi - avevamo chiesto alla Procura della Repubblica di Napoli di metterci a disposizione questa telefonata e di conseguenza i magistrati stessi avrebbero dovuto chiedere, atto doveroso, la revoca immediata della misura cautelare nei confronti dei coniugi Tarantini. Nel corso dell'interrogatorio verbalmente ci hanno comunicato che questa intercettazione non c'è». Di sicuro l'inserimento nel fascicolo investigativo dell'intero dialogo Berlusconi-Lavitola (per L'Espresso captato dalla Digos di Napoli su autorizzazione dei pm), avrebbe dato un duro colpo all'intero impianto accusatorio che sostiene la tesi dell'estorsione ordita dall'editore socialista e dalla coppia Gianpi-Nicla. La realtà, però, appare ingarbugliata e complessa come un romanzo di Georges Simenon. «Ci dobbiamo attenere agli atti. La situazione si è fatta così delicata che non c'è spazio per interpretazioni. I magistrati ci hanno detto così. Se è vero, L'Espresso ha fatto una manovra che ognuno di noi è in grado di poter qualificare», taglia corto ancora Diddi. I pubblici ministeri di Napoli Franco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock nell'interrogatorio di Tarantini inoltre si sono soffermati a lungo su due elementi: i rapporti con la società «Andromeda» presso la quale il barese lavorava come impiegato, e la relazione professionale con l'avvocato Nico D'Ascola (nel 2009 assunse la difesa nel procedimento barese sulle escort), in particolare sviscerando i motivi che hanno portato alla scelta di cambiare legale, facendosi assistere da Giorgio Perroni. Infine ieri mattina l'avvocato Michele Cerabona ha consegnato al procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore e all'aggiunto Francesco Greco una memoria nella quale sono rappresentate le ragioni dell'impedimento di Berlusconi a rendere dichiarazioni oggi a Palazzo Chigi. Fonti giudiziarie del capoluogo campano, di contro, hanno confermato l'intenzione dei pm di citare il Cavaliere come teste, dopo aver predisposto un calendario con una serie di date da sottoporre alla scelta del premier.