Filippo Caleri f.caleri@iltempo Affonda il listino della grande Germania.

LaBorsa di Francoforte ha ceduto ieri il 5% del suo valore. Un numero che ne fa la peggiore d'Europa e, al di là della valutazione economica sul calo repentino dei valori, il segnale che sembra arrivare dalla piazza finanziaria è molto semplice: la tempesta che sta scuotendo la finanza globale dopo aver preso di mira i debiti sovrani ora lancia un altro segnale chiaro: la recessione è alle porte. Non si spiega altrimenti il fatto che a pagare il dazio più grande nella borsa tedesca siano stati ieri i titoli industriali e quelli legati alle materie prime. Un segno che i mercati non credono più alla potenza di fuoco dell'export tedesco, principale traino della crescita del pil, registrata da Berlino negli ultimi anni. A essere colpiti dalle vendite i titoli del settore auto, i più sensibili al ciclo economico. Ma anche il colosso dell'acciaio Thyssenkrupp che ha accusato perdite rilevanti (-9,6%) vista la sua sensibilità alle prospettive della congiuntura economica. Forte anche la pressione sul colosso dell'energia Rwe (-5,6%) che oggi diffonde i conti trimestrali ma che intanto ha annunciato la necessità di ricorrere ad un aumento di capitale da 2,5 miliardi e di rivedere al ribasso le stime per l'esercizio in corso. La finanza anticipa quello che succede nell'economia reale e dunque il destino dell'economia Ue sembra in qualche modo già segnato. E a riprova del fatto che chi punta denaro alla ruolette delle borse veda nero nel futuro dell'economia, basta guardare le quotazioni del petrolio. Ieri il barile ha chiuso in forte calo a New York. Il Light Crude Wti ha perso 5,57 dollari a 81,31 dollari al barile, la chiusura più bassa dal novembre 2010. Il Brent di Londra ha invece lasciato sul terreno 6,07 dollari a 103,30 dollari al barile. Un segnale importante. A parte la speculazione a spingere i prezzi delle materie prime sono gli ordinativi dei sistemi manifatturieri. Costi in ribasso segnalano una minore domanda nel prossimo futuro. Dunque macchine produttive con il freno tirato. Il mirino degli speculatori, insomma, si è spostato. Spolpata la finanza con i titoli bancari usciti dal vortice nel quale erano entrati (ieri in Italia alla fine delle contrattazioni, le azioni del settore del credito hanno chiuso sopra la parità) ora la nuova preda non sono più i debiti sovrani. Certo i macigni piazzati nei bilanci pubblici degli Stati pesano e rappresentano un problema non indifferente. Ma la rete di salvataggio stesa nella notte tra domenica e lunedì dalla Banca Centrale Europea insieme alla Fed e alla Banca del Giappone ha sicuramente dissuaso, per ora, i cannoni dei fondi ad alto rischio. Dunque la strategia resta la stessa: individuare il punto debole del sistema e metterlo sotto pressione. Non più Italia, Grecia o Spagna. La nuova frattura di sistema è nel cuore dell'Europa, a Berlino. L'obiettivo è sempre lo stesso. Un euro troppo forte mette a rischio la solidità del dollaro e degli investimenti espressi nella valuta americana. Le bordate degli hedge fund nei giorni scorsi hanno cercato di indebolire la forza relativa della moneta unica. Non ci sono riusciti. Gli interventi della Bce hanno mantenuto il valore sopra gli 1,41 euro contro un dollaro. La Germania è disposta a tutto per tenere l'euro forte memore della forza del suo amato marco. È stato sempre così. Per questo Berlino ha sempre tenuto fermo il punto di non mollare la presa e di bloccare ogni tentativo forzoso di deprezzarlo. Il timore dei teutonici è sempre stato quello dell'inflazione e una moneta potente è il miglior antidoto per non importarla dall'estero quando si acquistano le materie prime. Ora la musica potrebbe cambiare. Il downgrade del debito americano è stato uno tsunami che ha come risvolto l'indebolimento accelerato dell'economia. Se di fermano i consumi si blocca anche l'export. Quello su cui la Germania ha costruito il suo successo. Così ironia della storia per ridare slancio ai suoi prodotti potrebbe essere costretta ad accettare il demone che ha sempre rifuggito. Una pratica additata con disprezzo quando era praticata dall'Italia produttiva della fine dello scorso secolo: svalutazione competitiva dell'euro. I panzer potrebbero non avere altra scelta.