Il pericolo tecnocratico

Non poteva essere né un discorso che cambia la storia del centrodestra né uno stop alla speculazione sul debito sovrano. Chi si attendeva un nuovo miracolo italiano dalle parole di Silvio Berlusconi o è in malafede o è un povero illuso che non sa che cosa accade nei mercati. La turbolenza finanziaria nasce altrove e coinvolge l’Italia al pari di altre nazioni. Basta osservare i tormenti di Obama. La depressione cosmica di Zapatero. La preoccupazione di Sarkozy. I contorcimenti di un’Europa che vede l’architettura della moneta unica scricchiolare. Altri sono gli attori in campo, altro è lo scenario. La crisi nasce dagli Stati Uniti, dai titoli tossici, da una gigantesca montagna di spazzatura che non è stata digerita ma è nella pancia del sistema finanziario. Non siamo di fronte a una crisi del credito, ma del debito e dell’insolvenza. I mercati scommettono non sulla crescita ma sul default, il fallimento. Pensavamo di essere usciti dalla recessione e ci ritroviamo alle porte di un altro rallentamento dell’economia globale. Al cospetto di questo scenario, il dibattito parlamentare di ieri è sembrato lunare e chi pensa di usare la speculazione per chiedere un cambio di governo non coglie la differenza tra la Borsa e il Parlamento. I mercati comprano e vendono, non votano. Gli Stati e la governance globale hanno già ceduto pezzi enormi di sovranità ai capitali volanti e agli speculatori. Qui è l’origine del tramonto del secolo americano. Se la finanza sceglie anche chi governa e si sostituisce agli elettori è la fine della democrazia e l’inizio della dittatura tecnocratica.