segue dalla prima di MARIO SECHI A Napoli Lettieri è in vantaggio ma sento odore di accordo a sinistra, mormorii di truppe fiacche a destra e un sinistro scricchiolìo di sconfitta anche dove si poteva vincere a mani basse.

Eallora, cosa c'è dietro l'angolo? C'è chi dice che questo risultato in realtà allungherà la legislatura. Questo è vero finché in Parlamento (e fuori) non si produce un'alternativa concreta. Ma se fino all'altro ieri ipotizzare un dopo-Berlusconi era quasi un'eresia, oggi non è più un azzardo. L'idea di aprire un'altra fase nel centrodestra non è più impraticabile. Ma non come la intendeva Gianfranco Fini, il cui progetto infatti si è sfracellato sugli scogli della presunzione. Qui la partita che si è aperta è un'altra e coinvolge anche il Cavaliere. Quando il Parlamento tornerà a riunirsi, i gruppi parlamentari saranno in piena fibrillazione e chi non ha incassato il "premio" per la stabilità dell'esecutivo cercherà di riscuotere quel che si aspetta per aver consentito al governo di andare avanti. Ma in queste condizioni, con un voto simile, c'è da scommettere che la Lega non starà a guardare. Allargare la maggioranza? Creare nuove poltrone? Altri incarichi? Sono pronto a scommettere che il Carroccio farà di tutto per impedirlo. Ergo, il rischio che a Palazzo Chigi si apra una crisi al buio è altissimo. Sono certo che Berlusconi in queste ore sta valutando anche questo scenario. Il Cavaliere è un uomo energico, un inguaribile ottimista, ma non ci sono dubbi che le prossime settimane saranno piuttosto complicate. Anche lui si sta ponendo la domanda: cosa c'è dietro l'angolo? Be', al suo posto vedrei allungarsi l'ombra di Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica non ha mai nascosto la sua avversione a uno scioglimento anticipato delle Camere. In caso di crisi ho l'impressione che il Quirinale prenderebbe atto della situazione, avvierebbe le necessarie consultazioni e proverebbe a dar vita a un governo di transizione guidato da un uomo del Pdl. Missione: un paio di riforme urgenti, in primis quella elettorale, e poi voto politico. In questo caso Berlusconi dovrebbe fronteggiare un altro dilemma: sono io il candidato alle politiche o è giunto il momento di separare premiership e leadership? Mentre Silvio si pone questa domanda, ai cancelli di partenza ci sono alcuni cavalli di razza che hanno alcune carte da giocare: Giulio Tremonti, Pier Ferdinando Casini e Luca Cordero di Montezemolo sono i tre che mi sembrano più accreditati per una serie di ragioni che ora vi espongo. Tremonti ha tenuto alla larga il crac dell'Italia durante la crisi finanziaria e la recessione economica e, inoltre, è un trait-d'union con la Lega di Umberto Bossi; Casini è il centrista post-democristiano che ha un legame speciale con la Chiesa (l'Italia è la culla del cattolicesimo), è un moderato, può dialogare bene con la sinistra per avere riforme bipartisan; Luca Cordero di Montezemolo sarà (se decide di entrare in politica) l'imprevisto della storia, un uomo di successo - piaccia o meno - che arricchisce l'offerta dei moderati e prova con una sorta di Lista Nazionale a innovare la politica italiana offrendo una scelta nuova e allo stesso tempo complementare a quella tradizionale. Non metto né Casini né Montezemolo all'interno del market del centrosinistra. Quel che sta accadendo nel polo dell'opposizione li esclude in maniera automatica da quel Risiko. La sinistra si sta sempre più radicalizzando e il progetto originario del Pd - la fusione dell'anima post-comunista con quella post-democristiana - è praticamente fallito. Bersani alza le mani in segno di vittoria, ma in realtà sta rivestendo il ruolo di segretario-liquidatore di un partito che si avvia a tornare indietro (ai Ds) per riscoprire la formula della coalizione allargata, cioè l'Ulivo. Il voto che ha decretato il successo di candidati come Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli, Zedda a Cagliari e molti altri è una pietra tombale sul Pd come ce lo avevano narrato i suoi fondatori. Lo spazio politico dell'opposizione a questo punto si restringe per i liberali e i riformisti. Pisapia ha vinto con l'appoggio del sindacato del quadrato rosso (la Cgil) e la sinistra vendoliana. Provate a immaginare un programma di riforme economiche e sociali che ha il loro imprinting: meno flessibilità del lavoro, spesa pubblica e tasse. Esattamente il contrario di quanto propongono Casini e Montezemolo. Quello di cui il Paese non ha bisogno. Ecco perché l'offerta politica del centrodestra in realtà è destinata in futuro ad allargarsi ed arricchirsi, mentre quella del centrosinistra è un ritorno al futuro che in realtà è il passato. Cosa c'è dietro l'angolo allora? Una ristrutturazione del panorama politico in cui Berlusconi ha un ruolo e una possibilità. Il ruolo è quello di chi ha ancora un grande consenso, la possibilità è quella di provare a uscire dalla trincea di una linea politica che nel caso di Milano s'è dimostrata insufficiente per convincere i moderati a votarlo. Come uscire dal fortino? Cominciando a intrattenere una politica di link (collegamento) e share (condivisione). Link con soggetti esistenti (l'Udc di Casini) e nascenti (la lista di Montezemolo), share con il mondo delle idee e della produzione che il centrodestra ha abbandonato negli ultimi due anni per dedicarsi a una guerra di logoramento che ha finito per logorare chi la conduceva. Fuori da questo scenario non c'è niente di buono: ci sono crisi al buio, tensioni secessioniste, governi tecnocratici lontani dalla volontà popolare, il risveglio dei fantasmi del passato.