Bossi fa la crisi beduina

La Lega non abbassa la testa. Stavolta lo scontro con Berlusconi sulla decisione di bombardare la Libia non evapora come altre volte con una dichiarazione del leader del Carroccio. I leghisti son decisi a dare un altolà al Cavaliere, a fargli capire che non può decidere da solo senza avvertire gli alleati. Tutto questo non porterà a una crisi, come spera l’opposizione, ma di sicuro è una frattura che il premier farà fatica a ricomporre. «Per il momento - racconta un esponente del governo che vuole restare anonimo - è una guerra solo mediatica, giocata sui giornali e sulle tv. Ma non sarà facile uscirne fuori». Anche perché gli attriti fra Berlusconi e la Lega partono da lontano, dall'attacco del ministro Galan a Giulio Tremonti fatto attraverso il giornale «di famiglia» del premier. Un colpo duro che la Lega non ha digerito. Così come non ha sopportato la scelta di bombardare in Libia, decisione di cui era del tutto all'oscuro. E che andava contro quanto era stato deciso nel Consiglio dei Ministri. Si spiega in questo modo il durissimo attacco fatto ieri dalla «Padania» al presidente del Consiglio con un titolo di apertura in prima pagina assai eloquente: «Berlusconi si inginocchia a Parigi». E il quotidiano dei leghisti riporta anche la notizia di una telefonata piuttosto seccata di Umberto Bossi a Giorgio Napolitano nella quale il senatùr si lamentava proprio del fatto di non essere stato informato di nulla. Uno scontro che ha subito riacceso le speranze dell'opposizione di poter spaccare la maggioranza e di mettere in crisi il governo. Tanto che il Partito Democratico era anche pronto a presentare una mozione sulla politica estera da votare alla Camera. Aggrappandosi, come al solito, alla speranza che la Lega decidesse di rompere con Berlusconi, dopo la scelta dell'esecutivo addirittura di rinviare il consiglio dei ministri di domani alla prossima settimana. Speranze andate in fumo nel primo pomeriggio quando – dopo le relazioni del ministro Ignazio La Russa e del collega Franco Frattini alle commissioni Esteri e Difesa – il capogruppo del Carroccio Marco Reguzzoni ha frenato decisamente sulle polemiche: «Sia chiaro per tutti che la nostra non è una discussione contro il Governo ma nel governo e nella maggioranza. Si mettano pertanto il cuore in pace le tante Cassandre della sinistra che oggi fanno paragoni con il governo Prodi, le cui tensioni interne erano dovute a posizioni politiche antioccidentali di alcuni partiti di quel governo. Noi invece abbiamo sempre sostenuto posizioni diverse e i nostri comportamenti parlamentari saranno conseguenti. Questo non significa però rinunciare a esprimere le nostre convinzioni con determinazione». Ma a rianimare le speranze dell'opposizione ci ha pensato poco più tardi il ministro dell'interno Roberto Maroni dopo una lunga riunione con Umberto Bossi negli uffici del Carroccio in via Bellerio a Milano. «Non è che si può dire alla Lega di dire sempre sì – ha attaccato – di accettare qualunque cosa, anche contraria a quello che la Lega pensa, senza che sia stata consultata. Non si può pretendere questo, non siamo lì a portare i voti, non siamo lì a schiacciare i pulsanti, siamo lì perché siamo partner di governo, chiediamo solamente di essere coinvolti, di condividere le decisioni». Il ministro dell'interno batte sempre sullo stesso tasto, l'irritazione del Carroccio per non essere stato consultato e per il cambio di strategia nei confronti di Gheddafi: «La Lega ha sempre sostenuto che la posizione italiana sulla questione Libia doveva essere come quella della Germania, Berlusconi nell'ultimo Consiglio dei ministri aveva mantenuto questa posizione, che era già fin troppo con la messa a disposizione delle basi, quindi siamo rimasti sorpresi dalla annunciata escalation. Siamo stati e siamo contrari ai bombardamenti e la posizione della Lega oggi non è cambiata rispetto a ieri, anche perché non ci sono state novità». La novità, forte, è che ora sono proprio i leghisti a chiedere la verifica in Parlamento sulla missione: «È inevitabile – conclude Maroni – visto che sono state presentate delle mozioni, noi non siamo certamente contrari ad un passaggio parlamentare». Una posizione che ridà fiato al Pd, timoroso di andare di nuovo a una verifica con la maggioranza dopo gli «schiaffi» presi negli ultimi voti di fiducia. Berlusconi ieri è rimasto in silenzio. Ma ai suoi uomini ha confermato che il governo non tornerà indietro sulle decisioni prese.