Democratici indecisi a tutto
Sarà l’eredità del «ma anche» veltroniano, ma più passa il tempo e più il Partito democratico appare incapace di prendere una qualsiasi decisione. Indeciso a tutto. E per questo in perenne difficoltà. I nodi da sciogliere aumentano ogni giorno. Tanto che appare alquanto difficile che la direzione nazionale convocata per giovedì possa trovare soluzioni soddisfacenti. In cima alla lista c’è sicuramente il caso Fiat. Ieri il segretario Pier Luigi Bersani ha incontrato il leader della Fiom Maurizio Landini che, poco prima del faccia a faccia, ha espresso un unico desiderio: «Spero che il Pd prenda una posizione». Fosse facile. Per una parte dei Democratici i metalmeccanici della Cgil rappresentano il «fronte della conservazione» e per questo occorre sostenere Sergio Marchionne. Per l’altra, invece, occorre stare con il sindacato. E di certo non aiuta il fatto che ieri al Nazareno, oltre alla Fiom, abbiano fatto la loro comparsa anche la Fim-Cisl e la Uil (le sigle sindacali che hanno sottoscritto l’accordo di Mirafiori ndr) che hanno chiesto al Pd di non schierarsi. Insomma anche se il responsabile Economia del partito Stefano Fassina assicura che tra Fiom e Democratici «ci sono posizioni largamente condivise» sulla salvaguardia della rappresentanza sindacale, l’impressione è che il Pd continuerà a galleggiare in attesa dell’esito del referendum che si svolgerà proprio in concomitanza con la direzione. Anche se questo significherà continuare ad esporsi al «fuoco amico» di Nichi Vendola (domani sarà a Torino per incontrare i lavoratori Fiat) e Antonio Di Pietro che, invece, si sono schierati nettamente al fianco dei metalmeccanici della Cgil. Ed è proprio il governatore della Puglia il secondo problema all’ordine del giorno per Bersani. La sua discesa in campo ha scatenato un vero e proprio tormentone attorno alle primarie. Considerate fino a poco tempo fa un elemento costitutivo del partito si sono trasformate in un peso insostenibile. Così si è pensato di cancellarle, quindi di congelarle, infine di limitarle ai soli candidati espressione del Pd. Ma il punto centrale sembra essere uno solo: trovare un modo per evitare che Vendola corra per la leadership del centrosinistra e vinca. Come se non bastasse ieri è arrivata la mano tesa di Pier Ferdinando Casini che si è detto disponibile ad un’alleanza di governo con i Democratici ma a condizione che Sel e Idv non siano della partita. Bersani è a un bivio: accettare l’abbraccio dell’Udc o buttarsi a sinistra? Anche qui non sembra esserci una risposta chiara. E di certo non aiuta ciò che sta accadendo in Sicilia dove il Pd ha deciso di appoggiare il governatore Raffaele Lombardo e dove i militanti, chiamati ad esprimersi attraverso referendum locali, hanno chiaramente detto che la scelta è sbagliata. Tanto che Claudio Fava di Sel commenta: «Se l’intesa tra il Pd siciliano e Lombardo viene bocciata ad un referendum con il 97% dei voti (il riferimento è a ciò che è successo a Caltagirone ndr), vuol dire che i dirigenti di quel partito non hanno più la fiducia del loro popolo». Sullo sfondo restano le solite e vecchie battaglie interne. Il 22 gennaio Walter Veltroni terrà a Torino la sua convention cui parteciperanno anche esponenti di spicco dei Democratici americani e dei Labouristi inglesi. E c’è da giurare che l’ex segretario non le manderà a dire. Così come non sembra disponibile a passi indietro Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze è in rapida ascesa nel partito, giovedì non parteciperà alla contro-direzione fissata dai «rottamatori», ma l’impressione è che Veltroni potrebbe puntare su di lui per sfilare a Bersani la leadership del Pd. E la storia si ripete.