Il triangolo della crisi

Il comunista austero fino alla fine, il primo ministro britannico che non si scorda mai, il ministro dell’età del ferro. Berlinguer, Churchill e Tremonti, un triangolo unito da una parola, «crisi». Ieri Giulio è tornato nella Francia che ama, quella sfolgorante del potere dello Stato, dei Lumi e della Paura, delle Rivoluzioni e delle Restaurazioni. Tremonti non è un «amerikano», si sente pienamente europeo, figlio del Vecchio Continente, tendenza Parigi. Una volta lo incontrai nel suo studio romano per un'intervista: sulla scrivania aveva un testo di Benjamin Constant, un federalista, oppositore di Napoleone e teorizzatore della monarchia «dolce». Chiacchierammo del libro, dell'autore, della rivoluzione, della ghigliottina e poi mi disse: «La paura è uno degli elementi chiave del potere». Paura che nell'era contemporanea e nelle nostre società occidentali si traduce in «insicurezza». Tra l'austerità del mitico segretario del Pci, il pragmatismo visionario del già ministro per le Munizioni e il millenarismo tremontiano c'è questo senso di fragilità dell'esistente che emerge. E Giulio non perde occasione per ricordarlo. Usa le parole di sir Winston, «l'Europa risorga», e poi vira dalla citazione del passato alla metafora contemporanea del videogame dove «combatti un mostro, lo uccidi, e subito ne compare un altro». A Tremonti piace giocare, stupire, dipingere scenari. Si è conquistato il ruolo di quello che la crisi l'ha vista e in qualche modo prevista. E in questo, paradosso buffo del destino, oggi si trova in compagnia di quel Nouriel Roubini che in passato a Tremonti tirava stoccate pesantissime. Quel che ha detto il ministro dell'Economia durante il seminario organizzato dal governo francese non è nuovo, basta leggere tutti i giorni Wall Street Journal e Financial Times per avere un contesto chiarissimo del presente, ma in un dibattito pubblico provinciale come quello italiano, ecco che le sue parole vengono prese dai soliti personaggi in cerca d'autore per dire che, sì dai è chiaro, Giulio gioca contro Silvio, di più, lo sbugiarda sulla crisi internazionale e via così un rosario di scemenze finiane, cretinate democratiche e fesserie pidielline che non metto in fila per non tediare il caro lettore. Discutendo di «Nuovo mondo, nuovo capitalismo» Tremonti riprende temi che aveva già ampiamente affrontato nei suoi interventi sulla crisi finanziaria e il crac del turbocapitalismo. L'affondo sulle banche, la speculazione e i salvataggi pubblici di colossi privati, non è una novità, ma il leit-motiv degli ultimi tre anni della sua azione politica. L'altolà sui facili entusiasmi sulla ripresa economica, il chi va là sulla sfida dei giganti della Storia che marciano da Est e Ovest sul corpo immobile della vecchia Europa, fanno parte di un bagaglio di cose dette e scritte anche prima della pubblicazione de «La Paura e la Speranza». In quel Tremonti c'era una diagnosi azzeccata, ma i suoi critici dicono: «C'è solo quella e niente per la crescita». In realtà la ricetta della cura tremontiana ieri è comparsa: il richiamo al federalismo e non solo per l'Italia, ma per l'Europa delle nazioni in crisi che stenta a trovare un suo fil rouge e una sua identità. Discorso alto. Troppo alto per l'Italia dei reciproci grandi sospetti e piccoli dispetti.