Berlusconi rottama Fini

seguedalla prima di MARIO SECHI Gianfranco Fini ha giocato il tutto per tutto. Non è un lettore di Machiavelli e in fondo questo lo sapevamo. Non è uno stratega e ne abbiamo avuto la prova regina. Ha sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare e invece di assaporare la vittoria, è stato segnato dalla sconfitta. Bruciante. E beffarda perché la sua sfida agli occhi di chi osserva con un minimo di mestiere la politica è apparso da subito un suicidio non calcolato, l'opera tragicomica di un kamikaze per errore. Fini non ha perso soltanto l'epica sfida con Berlusconi. Ha perso anche un pezzo del gruppo parlamentare alla Camera. Ha perso credibilità. Dopo aver perso la testa in questo progetto senza capo né coda ha perso pure la faccia. E ora? Se avesse un po' di coerenza e rispetto per la carica istituzionale che ricopre, dovrebbe dimettersi. Se cominci una guerra contro il presidente del Consiglio e la perdi, fai un dignitoso passo indietro e riprendi il tuo cammino sul viale dei perdenti. Invece no. Ancora ieri s'è premurato di informare gli italiani che assistevano alla sua Caporetto che mai e poi mai lascerà lo scranno di Montecitorio. Il 14 dicembre - come spiegavo nei giorni scorsi - così diventa uno spartiacque della politica italiana. Chi pensava di proiettare i propri disegni politici oltre questa data, sorvolando l'affermazione del Cavaliere, non ha capito un fico secco di quel che è accaduto ieri a Montecitorio. Da questo momento in poi comincia un altro film, il plot è dettato da un'altra sceneggiatura e i protagonisti cambiano scenario e obiettivi. Berlusconi ha vinto la seconda battaglia (la prima era quella del 29 settembre) sul voto di fiducia e in due mesi ha incassato il semaforo verde per il suo governo. Sono fatti che pesano come macigni sulla vita politica. Ieri sera di fronte al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non si è presentato un Cavaliere disarcianato da un indiano cresciuto in via della Scrofa che ne brandiva lo scalpo, ma un leader che ha superato per due volte la prova dell'aula e può sostenere di fronte al Quirinale un paio di cosette interessanti che riassumo qui a beneficio dei lettori: 1. ho la maggioranza, risicata, ma ce l'ho e fino a prova contraria vale per continuare a stare in sella; 2. ho la possibilità di provare ad allargare questa maggioranza ad altri partiti; 3. proverò a governare ma se mi accorgo che non è possibile, con questo risultato non può esserci un altro governo, un altro presidente del Consiglio, un'altra maggioranza; 4. ergo, le elezioni anticipate sono l'unica alternativa al mio governo. Sono fatti che Giorgio Napolitano, un uomo che è cresciuto nei partiti, ha ben presenti e intorno a questi dati della realtà ruoteranno tutti i ragionamenti e le prossime mosse ed esternazioni del Presidente della Repubblica. Ben diversa è la situazione di Fini e del suo gruppo politico. Il leader di Fli da oggi fa parte dell'opposizione, non è più il centrodestra di Berlusconi e neppure un altro centrodestra come s'affannano a teorizzare i suoi cervelloni. È vero che gli elettori lo percepivano già come un alieno, ma la sua uscita dall'orbita dei conservatori italiani ora è totale e irrimediabile. Idealmente Fini è stato attratto dalla forza gravitazionale di una galassia che comincia con Di Pietro, passa per Bersani e finisce con Vendola. La sua traiettoria e rivoluzione intorno a questo sistema di pianeti non è né quella di Pierferdinando Casini né quella di Francesco Rutelli. Bastava ascoltare con attenzione l'intervento alla Camera di Italo Bocchino (un disastro totale, degno del guinness dei fiaschi politici) e confrontarlo con quello dal tono ben diverso dei leader dell'Udc e dell'Api per capire che i futuristi sono più in sintonia con il trattorista Tonino da Montenero di Bisaccia che con il cosiddetto Terzo Polo dei moderati. Quelli che la vedono lunga nel Palazzo prevedono un ulteriore smottamento di una parte della collinetta finiana verso la pianura del Pdl e dunque una imminente riorganizzazione di un governo più che autosufficiente. Vedremo. In ogni caso, Fini si è autoscaraventato nel cono d'ombra dell'opposizione dura e pura e da questo momento è in un pollaio pieno di galli gelosissimi l'uno dell'altro. Il suo bacino di voti, infatti, è quello dell'antiberlusconismo non del centrodestra come qualcuno s'affanna a dire in queste ore. Basta una lettura attenta dei sondaggi d'opinione e una proiezione dei potenziali flussi elettorali per capire che Fini può dare più fastidio a Bersani e Di Pietro che a Berlusconi. Ma c'è di più: in caso di elezioni, la presenza di Fini e dei terzopolisti potrebbe avere un effetto boomerang sui rapporti di forza in Senato. Per effetto della sottrazione di voti, infatti, Fli darebbe a Pdl e Lega molti più senatori nelle regioni dove i due partiti sono forti, al punto che anche Palazzo Madama sarebbe in pugno al Cavaliere. Del controllo della Camera neppure si discute, sarebbe di fatto un fortino azzurro-verde. Non so quanti esponenti della Comitato di Liberazione Nazionale da Silvio, abbiano dato un'occhiata ai numeri - a giudicare dai proclami fatti in questi giorni, nessuno - al loro posto ci farei due o tre pensierini e mi metterei con il pallottoliere a contare i seggi. Chi invece quei numeri sembra già averli masticati è Silvio Berlusconi che ieri ha ribadito il concetto: «Se non si può governare, si va alle elezioni». Ecco, il voto continua ad essere una delle opzioni sul tavolo. La fiducia del Cavaliere alla Camera non l'ha smaterializzato, ma solo rinviato. Se Berlusconi fosse caduto, la Santa Barbara del voto anticipato sarebbe con le polveri bagnate e impossibile da usare. Ma così non è stato e quell'arsenale oggi è non solo intatto, ma addirittura irrobustito perché le armi a disposizione del nemico si sono nel frattempo ridotte a ben poca cosa. Possono sperare solo nell'appoggio della magistratura (in gennaio la Consulta deciderà sul legittimo impedimento e ne vedremo delle belle), ma da sedici anni le toghe sono non solo un ostacolo ma anche un formidabile fornitore di carburante per i carri elettorali del Cavaliere. In termini militari, Berlusconi e Bossi in questo momento sono una superpotenza in grado di controllare gli spazi di cielo, terra e mare. Gli altri? Hanno perso una battaglia fondamentale, se provano ancora a manovrare, rischiano di perdere la guerra.