segue dalla prima di MARIO SECHI In realtà, bastava osservare con sufficiente distacco lo scenario politico per rendersi conto che la sortita di Fini era ampiamente prevedibile.

Attenzione,non penso che il puro istinto e la cattiveria siano qualcosa di alieno alla politica, in realtà ne sono parte fondamentale, ma funzionano solo se si sposano all'analisi, alla freddezza della mossa di fronte all'avversario e alla disponibilità al compromesso, esito terreno di qualsiasi azione politica. Quest'ultima parte nel Fini di oggi è del tutto assente. Il suo è un primitivo e rozzo tentativo di far cadere il suo Cavaliere, a prescindere dai discorsi politici, dai programmi, dalle proposte, dal destino della maggioranza, del Parlamento e di un intero Paese. La differenza tra uno statista e un politicante sta tutta qui. E chiunque abbia un minimo di intelligenza capisce che stiamo parlando di un abisso. Solo che in quell'abisso rischia di finirci il Paese tutto. Chi predica responsabilità e alza il sopracciglio un po' schifato come se avesse appreso i rudimenti dello Stato a Westminster e non in via della Scrofa, ieri ha dimostrato di infischiarsene del debito pubblico, delle famiglie monoreddito che soffrono, delle aziende che chiedono stabilità, degli impegni internazionali dell'Italia, degli appelli dello stesso Capo dello Stato. Davvero un bel modo per festeggiare i 150 anni dell'unità d'Italia. I discorsi di Fini erano aria fritta e tali sono rimasti. Il vero e unico scopo era solo quello di abbattere Berlusconi, ridurre la maggioranza a una maceria fumante e sul disastro costruire un'avventura a dir poco pericolosa. Dalla sua viva voce abbiamo appreso che Fli va all'opposizione e sempre dalle sue labbra è uscita la davvero singolare proposta di un governo presieduto da Giulio Tremonti, il ministro dell'Economia, cioè l'uomo simbolo dell'esecutivo guidato dal Cavaliere, colui che firma la politica economica del governo, il signore che ha le chiavi della cassaforte. Basta e avanza questo per certificare che siamo di fronte a un problema solo personale, a un dissidio interiore irrisolto, a un'ambizione frustrata che cerca la soluzione finale e non il punto d'equilibrio tra le parti. È un modo di proporsi come «nuovo» e «alternativa» che va respinto perché proviene da chi ha condiviso sedici anni di politica berlusconiana e ne ha avuto indubbi benefici. Un politico è un essere umano, commette azioni buone e meno buone, ma ciò che è inaccettabile e imperdonabile è l'assenza di lucidità, di spirito costruttivo, di vero senso dello Stato. Fini annunciando che Fli va all'opposizione, ha iscritto il suo gruppo tra gli antiberlusconiani, si associa a Di Pietro e Bersani, cioè a quelli che dovrebbero essere i suoi opposti politici e culturali. Così apre una prateria al centro per l'Udc di Pierferdinando Casini, il quale, a questo punto, può davvero legittimamente cominciare a giocare la partita del futuro postberlusconiano. Prima di tutto questo però ci sarà il discorso di oggi di Berlusconi. Mi attendo un intervento asciutto, fermo, un richiamo alla responsabilità, un paletto fermo contro le tentazioni di restaurazione e una visione coerente delle cose da fare da qui al 2013. Poi tutti avranno 24 ore per pensarci, per valutare se è il caso di far piombare il Paese in una crisi dagli esiti davvero imprevedibili con una compagnia di giro che non ha un programma, non ha una visione del futuro, ma solo la bava alla bocca e pochi sogni ben confusi. La partita non si chiude con il voto di domani, ma è dalla data del 14 dicembre che parte una nuova sceneggiatura del film italiano. Siamo realisti, spazziamo via i giochi degli illusionisti e dei ciarlatani di Palazzo: anche se Berlusconi dovesse cadere, questo non significa che il Cavaliere sparisce, esce di scena, se ne va a prendere il sole ad Antigua e comincia un'era felice, carnevalesca, con ricchi premi e cotillons per tutti. In realtà si aprirebbe una stagione di enorme incertezza, il caos istituzionale e sociale dove non c'è una guida sicura ma debolissima e senza legittimazione popolare, una questione settentrionale e meridionale pronte a sfociare in una secessione e uno sciame gigantesco di locuste straniere pronto a divorare il Paese, perché gli speculatori fanno i conti sui loro margini di guadagno, pigiano un pulsante e spostano capitali, scommettono sul default e per loro un crac del governo in questo momento è una manna di miliardi. In questo scenario, con la crisi internazionale in corso e con un sistema istituzionale così debole e delegittimato, non sarebbe la fine di Berlusconi, ma l'inizio della fine dell'Italia.