"Macché Palazzo Chigi quella sera ero a Parigi"

«Una montagna di bugie, palle, cose inventate. Ne volete una prova? Dicono che è partita una telefonata da Palazzo Chigi diretta alla Questura di Milano, che c'ero io da un capo della cornetta e dall'altra il questore. Dicono che hanno fatto le verifiche, che hanno trovato i tabulati e che effettivamente c'è una telefonata dalla presidenza del Consiglio. Anzi, dal presidente del Consiglio. E allora vorrei proprio sapere come le fanno queste verifiche. Io, Silvio Berlusconi, quel 27 maggio ero a Parigi. Sono andato a Parigi per un vertice Ocse. E quella sera andai a un ricevimento all'ambasciata. C'era anche Tremonti». Si sfoga il premier. Da giorni si sfoga. Rimette a posto la memoria, rimette assieme i cocci. Sta facendo una specie di investigation a modo suo, ha sentito quelli che c'erano quella sera in cui, stando alle ricostruzioni di pm e giornali, telefonò per chiedere la «liberazione» di Ruby. E già sono diversi i punti che non tornano se non addirittura clamorosamente smentiti. L'ordine impartito a tutti i fedelissimi è chiaro: «Non dite nulla a nessuno. Lasciateli sfogare. Non parlate, non dite nulla. Fate scrivere ai giornali tutte le cazzate che vogliono. Poi parlo io. E allora ci divertiremo». Silvio dunque è battagliero. Chi lo racconta imbolsito, invecchiato, "bollito" evidentemente non lo incontra da diverso tempo. In effetti quella sera della telefonata Chigi-Milano il premier era nella capitale francese per una riunione ministeriale Ocse. È facile ricordarlo perché si lasciò scappare una frase su Mussolini e sul fatto che i capi del governo in Italia non hanno poteri. Ricorda che era in macchina, il suo caposcorta ricevette una telefonata, intuì di cosa si trattava e si fece passare il cellulare. Spiegò quel che sapeva di Ruby. O meglio, quello che la fanciulla gli aveva raccontato nell'unico incontro che i due hanno avuto, la sera di San Valentino ad Arcore. Che era scappata di famiglia, che veniva picchiata dal padre, che voleva convertirsi, stava seguendo un percorso di avvicinamento al cristianesimo. Berlusconi si commosse e le diede un po' di soldi. E così anche per le altre: «Ma chi è che non fa un regalino alla sua donna? Che non regala un gioiello alla donna con cui ha fatto l'amore? O anche soltanto alla donna che ha avuto a casa ospite. Mi sono imposto una regola di vita da anni: nessuno deve uscire da casa mia con le lacrime, al massimo con il sorriso». Tutto qua. Si fa per dire. Il Cavaliere, però, nelle ultime ore ha provato a estraniarsi dalle vicende private. Si è concentrato sul discorso che terrà stamattina alla riunione della direzione nazionale. Il messaggio che Berlusconi vuole lanciare è «andare avanti». Prima di questo passaggio però risponderà a quanti, Italo Bocchino a Ballarò in primis, hanno detto che l'esecutivo è fermo, bloccato. Ricorderà le emergenze superate e i provvedimenti presi. Rilancerà sull'azione di governo, cercando di riportare tutto alla politica, alla politica alta. E Fini? A Bruno Vespa che gli chiedeva per il suo libro se ci potrà essere un accordo con Fini, il Cav ha risposto: «In politica mai dire mai». E ha aggiunto: molti esponenti di Futuro e Libertà «non condividono affatto le esternazioni giustizialiste e i continui distinguo dei più estremisti di loro». Parlando con i suoi, però, Berlusconi ne parla ancora schiumando rabbia: «Davvero non capisco che cosa vuole. Ho capito solo che la sua non è una questione politica ma tutta personale. Abbiamo fatto il Pdl e ha scelto lui le persone da mettere in lista: dei suoi l'hanno seguito solo in trenta, cinquanta sono rimasti con noi. Abbiamo vinto le elezioni e ha chiesto di fare il presidente della Camera. Prego, s'accomodi: eccoti Montecitorio. Abbiamo fatto il governo e lui c'ha dato la lista di ministri e sottosegretari. Abbiamo fatto il congresso e lui ha detto che voleva La Russa coordinatore. Ma come fa a dire ancora che nel Pdl non c'era democrazia? Abbiamo fatto tutto quello che voleva?» Gli fanno notare che i finiani almeno ieri hanno abbassato i toni. «Hanno capito - risponde - che se cade il governo si va dritti a votare e loro ne hanno una paura da matti. Siete sicuri che si fa un governo tecnico? Secondo me il primo che non ci sta è Casini. Ma ce lo vedete Pier che fa un governo assieme a Di Pietro? E magari per incoronare Fini leader e lui gregario? Cioé per incoronare quello che lo ha fatto fuori dal centrodestra». Uno gli chiede: ma hai parlato con Casini? Berlusconi sorride: «Ni». Dunque, il filo con Cesa non si è mai interrotto. Fin qui il Cavaliere in privato, quello che ieri era convinto di ripetere questi concetti in pubblico davanti al suo partito. Lo farà? In serata i big del Pdl cercavano di dissuaderlo. Ma Berlusconi, si sa, dice di sì a tutti. Poi fa di testa sua. Qualcuno è stato pure ammonito: «Pensate che non faccia le battute? Vi sbagliate di grosso. Aspettatevene altre, fanno bene alla salute. E poi io sono fatto così e non cambio a settant'anni».