Le regole di un Cavaliere

Quando è scoppiato il caso del «Bunga Bunga» abbiamo ripescato dalla libreria un’opera di William Faulkner. S’intitola «Privacy», il Nobel per la letteratura la scrisse nel ’55. È una critica durissima al sistema dell'informazione, un vero e proprio libello originato dalla pubblicazione di una sua biografia non autorizzata sulla gloriosa rivista Life. Faulkner considerava quell'articolo una vera e propria intrusione nel suo privato. Ecco un passo significativo del libro: «Quando potenti federazioni e organizzazioni e concentrazioni come le grandi società editoriali e le sette religiose e i partiti politici e le commissioni legislative possono liberare anche solo una delle loro unità operative dalle restrizioni della responsabilità morale, per mezzo di slogan quali "Libertà" e "Salvezza" e "Sicurezza" e "Democrazia", sotto la cui totale assoluzione i singoli professionisti stipendiati sono essi stessi liberati dalle responsabilità e limitazioni individuali, allora dobbiamo stare in guardia». Mi sono chiesto: e se Faulkner avesse ragione? Se nel grande circo dell'informazione - a destra e a sinistra - stessimo sbagliando tutto e infilandoci in un tunnel che ci porterà alla frantumazione della convivenza civile in nome di una libertà astratta in grado di distruggere quella di un altro? Abbiamo provato a porci altre domande, cercato di pensare al concetto di privacy rispetto alla storia sociale e all'evoluzione dei mezzi di comunicazione.   Faulkner scriveva nel 1955, più di mezzo secolo fa, in una società che oggi appare distante anni luce. La televisione e la radio erano già ampiamente diffuse, ma il sistema planetario dell'informazione in tempo reale, della diretta, dei bit, di internet, della mail, dei social network a quei tempi era una fantasia degna della penna di Jules Verne. L'idea di privacy di allora non può valere per il mondo contemporaneo e soprattutto per la politica dei giorni nostri, imperniata su leadership individuali, plasmata sulle storie personali, metafora del successo di uomini e donne che nell'istante della discesa nel campo della politica diventano icona, speranza e racconto collettivo. Berlusconi può legittimamente dire «non cambio stile di vita» ma deve anche valutare il fatto che la sua vita privata è di fatto potenzialmente tutta pubblica e dunque oggetto di discussione e valutazione da parte dei media che questo fanno fin dalla loro nascita. É il prezzo che si paga quando si decide di assumere una posizione di governo. Sappiamo che è un conto salato per chiunque e siamo consapevoli del fatto che in molti non condivideranno le nostre idee in materia, ma pensiamo che a un grande onore debba corrispondere un grande onere. Il potere esecutivo non è «irresponsabile» perché ha un mandato popolare ed è sottoposto a un continuo monitoraggio anche da parte dell'informazione. Chi vuole far parte del mondo dei titani che reggono le nostre vite, deve rinunciare a gran parte del suo essere privato. É la prima regola del gioco. Può non piacere, ma per sfuggirvi c'è un solo modo: non entrare in politica o lasciarla se si pensa che non ne valga la pena, che il sacrificio sia troppo grande. Ma una volta accettata la sfida e l'incarico di guidare un Paese, entrano in campo altre forze e responsabilità con le quali bisogna confrontarsi. Improvvisamente, non si è più immersi nella sola dimensione personale, non si opera pensando di essere un'isola, si compiono azioni che sono nel dominio pubblico e nella storia collettiva di una nazione. Ecco perché Berlusconi dovrebbe continuare ad essere se stesso ma «regolare» i suoi comportamenti, dargli una «misura», un peso e un contesto in relazione non solo a se stesso e alle legittime convinzioni, ma a quel che rappresenta e incarna nell'immaginario dei suoi elettori e dei cittadini che rappresenta in quanto capo del governo. La sua libertà individuale ha un limite «politico», la sua vita e le sue imprese personali non devono diventare il centro dell'azione dell'esecutivo e l'argomento sul quale si sviluppa il dibattito pubblico e si alimenta la battaglia politica. Altrimenti il rischio concretissimo - pienamente realizzato in questo momento - è quello di ritrovarsi con un governo che in non pochi casi fa un buon lavoro ma è completamente oscurato da altre vicende.   Ieri Giulio Tremonti e Berlusconi hanno raggiunto un importante obiettivo sul fronte dei conti pubblici, ottenendo che il risparmio privato, lo stato di salute della contabilità delle famiglie, faccia parte degli indicatori utili per stabilire se un Paese è in salute o meno. Per l'Italia, paese di navigatori, santi, poeti e risparmiatori è un gran risultato. Ma tutto viene oscurato e ridotto a niente rispetto al clangore di ferraglia rugginosa delle inchieste giudiziarie e giornalistiche sullo «stile di vita» del Cav. Ecco, le inchieste e lo stile di vita. Da quando in qua si guarda nella camera da letto di un capo di Stato? Da molto tempo un po' ovunque, ma in Italia questo non era mai avvenuto fino a quando Repubblica non ha premuto il piede sull'acceleratore e ha svoltato sul gossip politico hard con il caso di Noemi Letizia. Da quel momento tutto è cambiato e, francamente, crediamo sia un punto di non ritorno per l'informazione. I giornali hanno metabolizzato questo passaggio, facendo proprio uno stile proprio dei quotidiani anglosassoni. Vale per il Cav e qualsiasi altro politico. Il presidente del Consiglio questo aspetto deve tenerlo sempre a mente, anche quando rivendica con orgoglio da maschio latino la sua libertà di «distrarsi ogni tanto». Deve ricordare che ogni volta che alza la palla, gli avversari vanno a schiacciare sotto rete