Bersani e Veltroni alla resa dei conti

Nel Pd è guerra interna, ma anche no. La Direzione del partito è convocata per oggi a mezzogiorno, ma nessuno sa come andrà a finire, primi fra tutti proprio i democratici. I «pontieri» ieri hanno lavorato sodo, ma la tensione creatasi nel faccia a faccia tra Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni non ha certo giocato a loro favore. Il colloquio tra i due, richiesto dall'ex segretario, è durato una ventina di minuti. Bersani avrebbe tenuto il punto, bollando come sbagliato - per lo meno nei tempi e nei modi - il documento dei 75, lasciando aperta la possibilità che durante la Direzione di oggi si vada alla resa dei conti e ignorando, di fatto, la richiesta di Veltroni di non arrivare al voto. «Chi vivrà vedrà», ha risposto ieri il segretario a chi gli domandava se ci sarà una vera e propria votazione. Di sicuro con la Direzione «avremo la rotta», ha detto, ribadendo - non a caso - che «il Pd ha la sua bussola». Il segretario non va in Direzione per spaccare, condivide le preoccupazioni di Piero Fassino, la cui priorità è tenere unito il partito. Ieri, prima della riunione di Area Democratica, il segretario e il capogruppo hanno parlato della relazione che Bersani esporrà oggi in direzione e del rapporto tra minoranza e maggioranza. Aprendo poi i lavori di Area Dem, Franceschini ha spiegato che la minoranza è «a un bivio»: o si rafforza la gestione unitaria o ci si distingue ulteriormente dalla segreteria. Entrambe le posizioni sono legittime, ma Franceschini ha spiegato che a suo avviso in questo momento di crisi è fondamentale sostenere il segretario e ha annunciato che se nella relazione Bersani accoglierà alcuni dei rilievi indicati da Area Dem, lui proporrà di votare a favore. Veltroni, intervenuto subito dopo all'assemblea, ha tentato di prendere le contromisure: in Direzione si capirà se il Pd sarà un «partito che include o se un partito che esclude una parte», ha spiegato, illustrando nuovamente il documento dei 75 e ribadendo che si tratta di un documento che non mette in discussione l'unità del partito. Poi l'ex segretario ha auspicato che si smetta di dire che il documento è stato un regalo a Berlusconi, ma lo si consideri un elemento utile ad aprire un dibattito sul Pd in un momento di sua difficoltà. Di certo c'è che Bersani non intende arretrare nel merito: dunque ribadirà la linea esposta a Torino, e confermerà che intende lavorare al progetto Pd. «L'accelerazione dei fatti politici e l'acuirsi della crisi democratica e sociale necessita che noi parliamo al Paese», ha spiegato, ribadendo che i democratici «devono dare una direzione di marcia». All'interno del partito, ha precisato, «massimo pluralismo e confronto, mai il Paese e il partito devono intuire che abbiamo individuato la strada». Sarà. Intanto Franco Marini e Rosy Bindi, nell'insolito ruolo di «falchi», spingono per il voto. «Se è normale discutere, è normale pure votare, no?» sbottava la presidente del Pd ieri alla Camera. Se la minoranza di Area Democratica dovesse spaccarsi e Franceschini e Franco Marini sostenessero il segretario, molto probabilmente si andrebbe a votare. Nel caso in cui le cose precipitassero in questo senso, il consenso intorno a Veltroni e all'iniziativa dei 75 potrebbe risultare davvero minoritario nell'assemblea di oggi. Qualcuno ha già fatto i conti. I più vicini a Franceschini hanno calcolato che la nuova minoranza si limiterebbe a circa il 10-15 per cento dei più di 200 componenti della Direzione. Fioroni, che dà per fatto il passaggio dei due ex Area democratica nella maggioranza bersaniana, non si tira indietro: «Vorrà dire che la minoranza la rappresenteremo noi», ha osservato. I 75, ex Ppi firmatari del documento compresi, non avrebbero al momento alcuna tentazione scissionista. Gero Grassi, fioroniano doc, ha smentito ogni ipotesi di uscita dal Pd: «Noi restiamo. Figurarsi!». È già qualcosa. È bene non dimenticare che Veltroni, prima di presentare il famoso documento che «non mette in discussione l'unità del partito», aveva detto: «Sono dentro, ma anche fuori».