Assegni d’oro per i politici

«Le elezioni anticipate non servono al Paese». In questi giorni sono in molti a ripeterlo. Numerosi parlamentari di entrambi gli schieramenti adesso vogliono occuparsi della crisi e delle riforme. Niente urne, è il momento di governare. «Ce lo chiedono gli italiani», dicono. A chiederlo, in realtà, potrebbero essere anche le loro tasche. Deputati e senatori eletti per la prima volta nell'aprile del 2008 rischiano, infatti, di non raggiungere la ambitissima pensione da parlamentare. Il rimborso previdenziale scatta, infatti, solo dopo cinque anni di mandato. Serve un'intera legislatura per poter trascorrere una vecchiaia serena grazie ai generosi «assegni vitalizi» concessi dallo Stato. Ma cosa rischiano di perdere questi onorevoli, se non venissero rieletti? Il regolamento della Camera approvato dall'Ufficio di Presidenza il 30 luglio 1997, prevede che ogni deputato versi mensilmente una quota dell'8,6 per cento (pari a 1006,51 euro) della propria indennità lorda per il pagamento degli assegni vitalizi. Lo stesso discorso vale per Palazzo Madama: tutti i senatori versano ogni mese 1032,51 euro (anche in questo caso l'8,7 per cento dell'indennità). L'importo dell'assegno pensionistico varia poi a seconda degli anni di mandato svolti. Il 23 luglio 2007, volendo tagliare le rendite dei parlamentari, si è stabilito che per gli onorevoli eletti per la prima volta a decorrere dalla XVII legislatura (quella in corso) la somma mensile varierà da un minimo del 20 per cento ad un massimo del sessanta per cento dell'indennità. Questo significa che nel caso in cui si andasse a votare prima della fine della legislatura, deputati e senatori non rieletti, dovrebbero rinunciare alla pensione minima pari a 2486,4 euro al mese. Tanto spetta agli onorevoli per cinque anni di lavoro. Mica male. Un tempo era anche peggio. Fino al 2007 l'importo dell'assegno andava da un minimo del 25 per cento a un massimo dell'80 per cento dell'indennità. E chi è stato eletto prima del 2008 conserva ancora questo trattamento. Questo significa che per una sola legislatura di lavoro si ottiene una pensione pari a 3108 euro lordi di vitalizio (il 25%), per 10 anni di mandato la somma sale a 4725 euro (il 38%), fino ad arrivare agli 8455 euro (l'80%) di chi è stato membro del parlamento per 30 anni o più. Questi dati sono sufficienti per capire da dove viene la cifra esorbitante che figura nei bilanci di Camera e Senato alla voce «Vitalizi». L'importo totale nel 2009 è stato di 138,2 milioni di euro per le pensioni degli ex deputati e di 81,2 milioni di euro per quelle degli ex senatori. Considerando che i contributi versati ammontano a 11 milioni 835 mila euro per i rappresentanti di Montecitorio e a sei milioni 100 mila euro per quelli di Palazzo Madama, la casse del parlamento hanno raggiunto, per quel che riguarda lo scorso anno, un deficit pari a 126 milioni per la Camera e 75 milioni per il Senato. Chi lo ha pagato? Naturalmente noi, dal momento che i bilanci in rosso vengono poi alimentati da trasferimenti del Tesoro. Deputati e senatori hanno, quindi, un trattamento pensionistico di tutto rispetto. Anche il fattore età merita di essere approfondito. Ufficialmente il requisito minimo per accedere agli assegni previdenziali è il raggiungimento del sessantacinquesimo anno d'età. A conti fatti, però, questa norma vale solo per chi è stato eletto per la prima volta alle politiche del 2008. Tutti gli altri, ancora una volta a seconda degli anni di mandato svolti, usufruiscono di «sconti» notevoli. Vincolati ai sessantacinque anni coloro i quali hanno all'attivo una sola legislatura. Poi un anno di «sconto» per ogni anno di incarico oltre i cinque. Per i più «fortunati» è addirittura possibile arrivare alla pensione quando sulla torta ci sono soltanto cinquanta candeline: sono i deputati che sono stati eletti prima del '96 e hanno al loro attivo venti anni di contributi. Ai senatori va anche meglio: a loro, se sono stati eletti prima del 2001, bastano 15 anni di versamenti previdenziali. Un tempo era anche possibile il riscatto volontario degli anni mancanti. Poi, secondo quanto stabilito dall'Ufficio di Presidenza il 23 luglio 2007, «i periodi di versamento dei contributi coincidono necessariamente con gli anni effettivi di mandato». Certo dare un'occhiata alle pensioni degli ex onorevoli in questi tempi di crisi non è proprio salutare. Tra gli ex ministri, ad esempio, c'è chi, come Franco Nicolazzi (segretario del Partito Socialista Democratico Italiano, parlamentare dal 1963 al 1990, ministro dell'industria nel 1979 e poi ministro dei lavori pubblici sino al 1987) riceve ogni mese dallo Stato 9947 euro in virtù dei suoi 35 anni di versamenti. Stefano Rodotà, giurista ed ex presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, venti anni di versamenti, ha una pensione pari a 8455 euro al mese. Tra i giornalisti con il vizio della politica che figurano nell'elenco degli ex onorevoli anche Eugenio Scalfari (eletto deputato come indipendente tra le liste del Psi nel 1968) e Rossana Rossanda (alla Camera durante la IV e la V legislatura per il Pci e Il Manifesto): a loro vanno 3108 euro al mese.