Berlusconi avverte tutti "O state con me o si vota"

L’ultima chiamata ai finiani è arrivata. Un documento di dieci pagine e cinque punti su cui il Pdl è pronto a chiedere un «rinnovato impegno al Parlamento». E se la maggioranza non sarà «congrua» l'alternativa è il voto. Prima possibile. Magari entro dicembre. È questo, in estrema sintesi, l'esito del vertice che si è svolto ieri a Palazzo Grazioli. Sei ore di confronto che sono servite per mettere a punto quello che il «falco» finiano Italo Bocchino non fatica a definire «un documento condivisibile al 95%». «Alcuni punti - aggiunge - sono addirittura lapalissiani. Rimane aperta solo la questione del processo breve. È una vittoria di Fini. La fiducia sembra scontata». Insomma lo spettro del voto anticipato sembra allontanarsi. Lo stesso Silvio Berlusconi lo evoca come ultima ratio anche perché, spiega durante la conferenza stampa nel parlamentino di Palazzo Grazioli, «mi attendo una maggioranza non risicata». In ogni caso, prosegue, «noi non siamo pronti per le elezioni visto che tutti focus fatti in queste settimane indicano per noi e per la Lega, più altre forze politiche che potrebbero aggiungersi, un grande risultato, addirittura superiore al 50%». Il premier quindi non è affatto preoccupato da ipotetici scenari catastrofici. Tanto che, arrivando in mattinata a Palazzo Grazioli si concede alla folla di giornalisti, curiosi e simpatizzanti radunata davanti all'ingresso della sua residenza romana. Look sportivo (camicia blu e maglioncino sopra le spalle) stringe mani e scherza con un turista improvvisando una frase in spagnolo: «Estamos a la cabeza del mundo» (traduzione berlusconiana del latino Roma caput mundi). E a chi gli chiede lumi sulla durata del vertice del Pdl risponde: «Con i politici non si sa mai». Frase che sembra anticipare ciò che sarà. Alla spicciolata arrivano i vertici del Pdl. I capigruppo di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, il vicepresidente del senatori Gaetano Quagliariello, i tre coordinatori Sandro Bondi, Denis Verdini e Ignazio La Russa. Arrivano Altero Matteoli, Angelino Alfano e Giulio Tremonti. Gianni Letta, Paolo Bonaiuti e il sindaco di Roma Gianni Alemanno. Alle 14 si comincia. Quando, quasi sei ore dopo, Berlusconi si presenta ai giornalisti, ha un look più istituzionale (completo e cravatta), ma il buon umore non gli manca. «Sono confortato - esordisce - dal fatto che non sono il solo a lavorare». Quindi inizia a leggere il documento che, spiega, «riflette le volontà del Pdl e della nostra maggioranza per i restanti tre anni». Cinque i punti programmatici: federalismo fiscale, fisco, Mezzogiorno, giustizia e sicurezza. Per ognuno il premier elenca possibili interventi. Parla di «quoziente familiare» e «riduzione dell'Irap» spiegando che l'obiettivo del governo resta quello di «ridurre e disboscare la giungla di un sistema rimasto fermo agli anni Settanta». Annuncia un «piano per il Sud» rilanciando il ponte sullo Stretto e la banca per il Mezzogiorno. Ricorda i successi in tema di lotta alla criminalità organizzata e spiega che ci saranno «ulteriori provvedimenti» per il contrasto dell'immigrazione clandestina. Poi apre il capitolo giustizia, il più delicato per quanto riguarda i rapporti con i finiani. Chiarisce subito che l'obiettivo è «una riforma complessiva» che passerà anche attraverso processo breve, lodo Alfano costituzionale, riforma del Csm con la creazione di due organismi separati. Parla anche di intercettazioni anche se poi, incalzato dalle domande, chiarisce che la legge, così come è concepita oggi, «non risolve il problema». Per questo si lascia sfuggire un «forse la sottoporremo al voto del Parlamento». Ora tocca ai capigruppo di Camera e Senato tradurre in una mozione di fiducia questi punti. Di certo, spiega il Cavaliere, non ci saranno più «trattative come è accaduto in passato». Così come non ci sarà la necessità di conquistare finiani. «Non ho fatto una sola telefonata - spiega -. Sono rimasti nel Pdl quindi non servono azioni di conquista nei loro confronti». Poi, a domanda, risponde: «Da parte mia non c'è mai stata incentivazione a queste campagne (contro Fini, ndr)». Nessuna polemica, nessuno scontro. Gli uomini del presidente della Camera, pur con accenti diversi, applaudono le parole del premier. La svolta del Cav, per ora, ha funzionato.