Dini: Napolitano rifletta, no a un governo senza il Cav

Perl' ex presidente del Consiglio dal gennaio 1995, dopo la caduta del governo Berlusconi I, al maggio 1996, è sì ipotizzabile un «governo tecnico» ma non senza Berlusconi alla sua guida. Diversamente, spiega in un'intervista al Corriere della Sera, sarebbe palesemente contrario alla «Costituzione materiale», dal momento che il suo nome era sulla scheda elettorale e ha vinto le elezioni. Per una maggioranza alternativa non ci sono i numeri al Senato, fa notare, e in ogni caso il presidente Napolitano «dovrebbe riflettere bene prima di intraprendere quella strada», non potendo non tenere conto dell'evoluzione in senso bipolare del nostro sistema. Dini non rinnega però l'esperienza del suo governo tecnico nel 1995, a cui è legato il termine «ribaltone». Anzi, sottolinea come il suo esecutivo vide la luce in circostanze e con modalità ben diverse da quelle prospettate oggi da quanti evocano governi tecnici o di transizione. «Si trattava di realizzare un programma di quattro punti», realizzati i quali «portammo subito il Paese alle elezioni». «E a fare il mio nome a Scalfaro fu lo stesso Berlusconi». Il governo Dini non nacque infatti contro la volontà dei partiti che facevano parte della coalizione del governo Berlusconi I, uscita vincitrice dalle urne il 27 marzo del 1994. Fu l'operazione che più si avvicinò, soprattutto con il passare dei mesi, all'idea di «ribaltone», ma va tenuto presente l'iniziale via libera di Berlusconi (dietro garanzia del presidente Scalfaro che si sarebbe presto tornati alle urne), il voto di fiducia della Lega Nord, e il fatto non secondario che il presidente del Consiglio incaricato era una figura di primo piano del governo Berlusconi I (di cui Dini era ministro del Tesoro). Senza dimenticare poi che nel 1994 la legge elettorale non prevedeva ancora l'indicazione del candidato premier delle coalizioni, come avvenuto nel 2008 con Berlusconi. L'ex premier oggi senatore è quindi sulla stessa linea ribadita più volte dai capogruppo del Pdl («O Berlusconi o il voto», anche perché «è indubbio che nel nostro sistema bipolare i cittadini trovino sulla scheda anche il nome del premier»). Una linea riaffermata ieri da Fabrizio Cicchitto per ribattere alle accuse di eversione rivoltegli dal Pd: «L'arroganza, e anche l'ignoranza, sono cattivi consiglieri. Alcuni esponenti del Partito democratico ci definiscono eversivi perché sosteniamo una tesi politico-istituzionale che abbiamo letto con qualche emozione essere richiamata nella lettera del presidente Cossiga al presidente del Senato quando, in data non sospetta, cioè nel 2007, evoca "il popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico"».