Qui finisce l'avventura La maggioranza è a rischio

Il dado è tratto. Silvio Berlusconi è giunto alla conclusione che il rapporto con Gianfranco Fini s’è esaurito e tanto vale farla finita. Qui finisce l’avventura. Ma c’è di più: il Cavaliere gioca il tutto per tutto e mette in discussione anche il ruolo istituzionale di Fini, la Presidenza della Camera, terza carica dello Stato. Stanno volando palle di cannone. È l’epilogo nel frastuono più totale di un matrimonio che dopo diciassette anni di convivenza tra alti e bassi aveva esaurito la sua ragione d’essere. Il documento politico votato dal Pdl è una pietra tombale su una intesa che ha segnato - nel bene e nel male - la storia recente del centrodestra italiano, ma è anche un cancello che si spalanca sull’imprevedibile. Quando due anni fa si decise la fusione di Forza Italia e An, era chiaro che il Pdl sarebbe stato un partito carismatico, strutturato sulla forza magnetica di Berlusconi, con Fini in un ruolo istituzionale - la Presidenza della Camera - che a lui, uomo e leader di partito, stava stretto fin dall’inizio. Ripercorrere quella vicenda politica e umana ormai sarà affare degli storici, noi facciamo i cronisti, raccontiamo il presente e cerchiamo di guardare avanti. L’uomo della strada si pone una sola domanda: cosa succederà adesso? Il presidente del Consiglio che chiede alla terza carica dello Stato di fare un passo indietro apre uno scenario di scontro istituzionale. Dal Quirinale non s’ode uno stormir di fronda, ma è chiaro che a questo punto le scosse del Pdl toccano anche i delicatissimi equilibri del triangolo istituzionale costituito dalla Presidenza della Repubblica e dalle presidenze di Senato e Camera. Ho la netta impressione che Napolitano non starà a guardare. Il primo effetto immediato della battaglia tra Berlusconi e Fini è che il Pdl così com’era stato immaginato cessa di esistere e per il partito si apre una nuova fase che con l’uscita dei finiani sarà tutta berlusconiana. Per Silvio non sarà un ritorno a Forza Italia come per Gianfranco non sarà un rientro in An. Ma in entrambi il richiamo della foresta sarà forte perché nel dna del Cavaliere resta un partito che non è partito ma puro movimento politico, mentre nella mente di Fini la politica si sviluppa grazie al volano del partito tradizionale, organizzato e ramificato sul territorio. Berlusconi non avrà il problema di finanziare la sua avventura, Fini invece dovrà non solo puntellarsi nel Palazzo cercando di costituire dei gruppi parlamentari solidi, ma trovare nuovi proseliti sul territorio e soprattutto i soldi per mandare avanti la baracca. E proprio su quest’ultimo punto, sul patrimonio di An, - come racconta il nostro Fabrizio dell’Orefice in queste pagine - si svolgerà un’altra sfida senza quartiere. Come in ogni guerra d’assedio che si rispetti, i lealisti berlusconiani cercheranno di tagliare viveri e rifornimenti ai ribelli finiani. La sopravvivenza politica di Fini passa anche per questo impervio sentiero. Nel frattempo Berlusconi dovrà preoccuparsi della stabilità della maggioranza e della sopravvivenza del governo. Da questo momento la nave di Palazzo Chigi viaggia a vista. Ieri un parlamentare mi diceva sconsolato ma non privo d’ironia: «Faremo un governo monocamerale». I numeri alla Camera dicono che Fini può virtualmente contare su un drappello nutrito di guastatori in grado di rendere la vita durissima a Berlusconi. Al Senato le cose sembrano più semplici perché i finiani sono poco più delle dita di una mano. Piccoli numeri, ma i vecchi lupi di mare del Transatlantico mostrano un barometro che segna tempesta fissa. E credo che le previsioni del tempo siano uguali a quelle che fa il direttore de Il Tempo: in aula si gioca non sui presenti ma sugli assenti, i tiri mancini sono una realtà di tutti i giorni, i franchi tiratori cecchini esperti, ho visto più volte i capigruppo rincorrere deputati e senatori, appendersi alla loro giacca per trascinarli al voto in aula. Vita dura e incerta per l’esecutivo. Si poteva evitare tutto questo? Certo, ma nessuno si è preoccupato di fermare l’escalation del conflitto. La maggioranza per sopravvivere dovrà per forza allargarsi ad altre forze, una crisi di governo e un rimpasto per un Berlusconi bis sono possibili e forse persino necessari. Primo segnale: ieri il gruppo di Rutelli ha votato la riforma universitaria della maggioranza. Vedremo presto quali saranno le mosse sulla scacchiera. Stavolta chi darà lo scacco matto non concederà la rivincita all’avversario.