Silvio rifà la par condicio

«È evidente che appena possibile dovremo rivedere le regole sulla comunicazione politica in televisione». Era metà giugno quando Silvio Berlusconi  rispondendo a una domanda di un sostenitore sul sito dei suoi fans forzasilvio.it, era tornato a ricordare il suo pallino: cambiare la par condicio. Sì, è vero: l'idea di mettere mano a quella legge riemerge come una chimera di tanto in tanto. Il premier l'aveva detto anche un anno fa, l'aveva ribadito in autunno, in inverno, prima delle Regionali e aveva ripromesso di mettere mano dopo. Lo ha ripetuto a giugno. E chi pensa che lo dica così, tanto per dire, si sbaglia di grosso. Al contrario. Berlusconi non se l'è tolto dalla testa. Anzi, sempre più spesso affiora. Come se anche il Cavalire si stesse lentamente preparando a un voto imminente. O, molto più semplicemente, non vuole farsi trovare scoperto. Nella maggiorana, comunque, è iniziata una sorta di corsa all'ultimo provvedimento.   A metà settimana Umberto Bossi è andato a trovare Giulio Tremonti al ministero dell'Economia. Tutt'altro che una visita di cortesia, bensì un vero e proprio incontro di lavoro sebbene il Senatùr abbia partecipato un po' defilato lasciando il merito delle questioni a Calderoli, Tremonti e Renato Brunetta. Quel che è chiaro è che ad agosto si definiranno i decreti attuativi sul federalismo fiscale: il primo sarà quello sul federalismo comunale. Berlusconi pensa ad altro e ha già detto in più colloqui riservati con i big del Pdl che vuole ripartire dalla par condicio. «Subito dopo le intercettazioni, facciamo la comunicazione politica in tv», ha spiegato deciso. E ha anche indicato il Senato l'aula da dove iniziare l'iter. In effetti una proposta era già sta avanzata a metà dell'ottobre scorso. Un testo venne depositato a Montecitorio da Ignazio Abrignani, responsabile del settore elettorale del Pdl e molto vicino a Claudio Scajola, allora ministro dello Sviluppo e dunque anche delle Comunicazioni. La proposta Abrignani prevedeva spazi in radio e in tv divisi in base al "peso" del partito e cioé alla rappresentanza parlamentare; possibilità di spot elettorali a pagamento; diritto di tribuna pari al 10% dello spazio in campagna elettorale; possibilità per i candidati di partecipare anche alle trasmissioni di intrattenimento o di qualsiasi altro genere in campagna elettorale. Il testo disponeva che le emittenti radio e tv debbano assicurare «a tutti i soggetti politici con imparzialità ed equità l'accesso all'informazione e alla comunicazione politica». Ma la vera rivoluzione arrivava sul come: ovvero sulla base della rappresentanza parlamentare prevedendo, quindi, la ripartizione degli spazi in base al "peso" della forza politica. Quelli invece che non hanno rappresentanza parlamentare verrebbero confinato in un complessivo dieci per cento. Il Pdl così si potrebbe assicurare quasi la metà degli spazi mentre un'eventuale nuova formazione di Gianfranco Fini - qualora non riuscisse a costituire un gruppo parlamentare - dovrebbe faticare non poco per trovare uno spazietto su qualche piccolo schermo.