Arrestato l'uomo dei nastri Unipol

Da una telefonata «spia» all'arresto per estorsione. È l'epilogo della vicenda che di recente ha visto al centro di una bufera politico-giudiziaria l'imprenditore Fabrizio Favata. La conversazione è quella tra l'ex segretario del Pd Piero Fassino e il manager del gruppo bancario Unipol Giovanni Consorte. Nel nastro registrato il primo dice al secondo: «Ma allora abbiamo una banca?». La «spiata» sarebbe poi stata consegnata dall'arrestato alla famiglia Berlusconi. Secondo gli inquirenti milanesi, l'ipotesi di estorsione, invece, si fonda sulla richiesta di denaro di Favata a un altro impreditore, Roberto Raffaelli, fornitore di materiale per intercettazioni telefoniche all'autorità giudiziaria, altrimenti avrebbe rivelato tutto ai giornali. Ieri Favata è stato ammanettato a Genova dalla Guardia di finanza con l'accusa di estorsione ai danni del secondo impreditore, Raffaelli. Il provvedimento restrittivo è stato firmato dal giudice per le indagini preliminari milanese Bruno Giordano su richiesta del pubblico ministero Massimo Meroni. Favata, secondo quanto ricostruito dalla sezione di Polizia giudiziaria della Finanza e della Polizia, ha chiesto e ottenuto circa trecentomila euro da Raffaelli per non rivelare la vicenda del nastro contenente la telefonata di Fassino che sarebbe stata consegnata la vigilia di Natale del 2005 nella casa di Arcore del premier. La conversazione tra il segretario dei Ds Fassino e Consorte fu pubblicata qualche giorno dopo su «Il Giornale». Per non far diventare di dominio pubblico la vicenda, secondo la procura di Milano, l'impreditore Favata aveva chiesto aiuto in denaro per la sua attività. I soldi che avrebbe ricevuto Favata, secondo la procura lombarda, provenivano da fondi neri accumulati attraverso fatturazioni false della Research control system (Rcs), società specializzata nel fornire a numerose procure italiane anche materiale per le intercettazioni. «Quando Silvio Berlusconi ha riconosciuto la voce di Fassino ha aperto improvvisamente gli occhi e ha detto: "Grazie, la mia famiglia vi sarà grata in eterno"», ha detto Fabrizio Favata due settimane fa. Favata nei giorni scorsi ha inoltre riferito dell'incontro con Silvio e Paolo Berlusconi, occasione in cui il presidente del Consiglio avrebbe chiesto «a Raffaelli come funzionava la cosa. Mi ha dato l'impressione di non essere molto pratico. In tutto, l'incontro non è durato più di 20 minuti». «Quel favore mi ha rovinato - aveva inoltre detto l'imprenditore - nel giro di pochi mesi, viste le cattive acque in cui navigavano le società di Berlusconi, il fratello ha deciso di chiuderle tutte, compresa la Iptime», di cui Favata era consulente. E ancora: «È rimasto in piedi solo il Giornale. Da un giorno all'altro mi sono ritrovato in mezzo a una strada, e allora mi è venuta in mente quella promessa fatta ad Arcore. Chiedevo aiuto perché ero e continuo a essere disperato», ha proseguito Favata. L'imprenditore, comunque, in passato è stato arrestato per bancarotta e ha subito tre condanne tra il '93 e il '94. L'arrestato, infine, ha anche affermato nei giorni scorsi di aver incontrato l'onorevole Niccolò Ghedini. «Ho chiesto un prestito di un milione per riavviare l'attività della Iptime, ma non mi hanno aiutato». Ma non finisce qui. L'imprenditore chiuso in cella per estorsione ha anche dichiarato di avere le prove dell'incontro con l'avvocato Ghedini: «Nello studio padovano ho registrato il colloquio con un collaboratore. L'ho appena depositato alla procura di Milano». Gli stessi magistrati che hanno chiesto e ottenuto ieri l'arresto dell'imprenditore. Favata da alcuni mesi era indagato dal sostituto procuratore milanese Meroni per estorsione e ricettazione, mentre per rivelazione del segreto d'ufficio e accesso abusivo del sistema informatico, è indagato Roberto Raffaelli, l'ex amministratore delegato della Research control system. Nell'inchiesta è indagato per millantato credito anche Paolo Berlusconi perché, secondo i pm, avrebbe ricevuto 550 mila euro da Raffaelli dicendo che si sarebbe adoperato in modo da favorirlo nell'assegnazione di alcune commesse all'estero.