I finiani, più risse che uomini

E va bene il dibattito. E va bene porre le questioni e chiedere di discutere. E va bene anche alzare nuovi vessilli, insistere perché il proprio partito se ne occupi, ricordare ai vertici le promesse mancate. Va bene tutto. Ma se governassero loro? Se alla guida del Pdl ci fosse la minoranza? Se il leader del Pdl fosse Gianfranco Fini e i finiani fossero alla guida dei gruppi parlamentari, delle commissioni e magari del governo, che cosa succederebbe? A vedere lo spettacolo di questi ultimi giorni la risposta è elementare: un gran casino. Sì, casino, senza accento sulla finale. Perché non c'è dubbio che Fini abbia volato alto, abbia toccato temi alti come l'unità nazionale, la legalità. Sotto di lui i suoi s'azzuffano, rispolverano vecchi odii personali, veti incrociati, diatribe come una scolaresca nell'ora di ricreazione. Allora, la domanda più precisa è: che succede? Succede che, tanto per cominciare, prima ancora che inizino le danze un finiano doc si sfila, è Amedeo Laboccetta. Non ne vuole sapere di far parte di una corrente di minoranza e sbatte la porta. Fini ringrazia e tira dritto; ordina a Italo Bocchino di procedere con il radicamento sul territorio di Generazione Italia. Un altro finiano, Roberto Menia, non ne vuole sapere di finire sotto le ali protettive di Bocchino. Chiede a Fini di nominare un altro capocorrente ma il presidente della Camera blinda colui che fu il più fedele collaboratore di Pinuccio Tatarella. E così Generazione Italia avvia la sua campagna di iscrizione. Ma un finiano (un tempo se qualcuno gli avesse affibbiato una tale definizione sarebbe finita male) non proprio finiano come Andrea Augello non ci sta. E assieme a Pasquale Viespoli, un altro che al solo pronunciare il nome di Bocchino storce la bocca, organizza un'altra area. Si chiama «Spazio aperto», che sembra più il nome di un tg di Mediaset che una iniziativa politica. Non vuole essere scissionista, non autonomista ma lealista nei confronti del governo. Si parte con i 14 senatori firmatari del documento pro-Fini. Ma non tutti sono su quella linea, c'è chi invece apprezza i toni accesi di Generazione Italia. E allora per non rompere con i bocchiniani (che poi in realtà ce n'è uno solo, Carmelo Briguglio, l'unico che è d'accordo con Italo anche quando dice il suo esatto contrario perché recitano due parti della stessa commedia) e allora si decide che «Spazio aperto» resterà sul profilo solo parlamentare in modo di non andare in contrasto con Gi. Basta? No, non basta. Anche alla Camera si pensa di preparare un'iniziativa spazioapertista, potrebbe essere guidata da Silvano Moffa e da Menia, che agisce ormai assieme agli altri due sottosegretari. Ma non tutti i sottosegretari finiani sono sulle stessa linea visto che Antonio Buonfiglio, ex alemanniano, invece è tra gli ultrà. Ma non tutti gli ex alemanniani amano la tattica bellica visto che l'eurodeputato Potito Salatto si propone come mediatore. Mediatore tra chi? E Urso? Che fa Adolfo Urso? Guida Farefuturo e pensa anche lui di avviare una sua iniziativa: i circoli della fondazione di Fini organizzati sul territorio. Un'operazione che potrebbe andare in aperto contrasto con Generazione Italia e per questo si sta pensando di mantenerla solo sul profilo culturale radunando gli intellettuali di area. Ma non tutti gli intellettuali sarebbero d'accordo. Il webmagazine della fondazione, diretto da Filippo Rossi, è stato addirittura smentito dallo stesso segretario della fondazione, Urso. Un po' in ombra anche Alessandro Campi, criticato dai berluscones per il fatto di aver gettato ombre sulla manifestazione di piazza San Giovanni («C'erano troppi anziani e pochi giovani») alla quale tuttavia egli non c'era. E la stessa newsletter ha preso toni meno accesi e anche meno apertamente antiberlusconiani. D'altro canto nella home page ospita pubblicità di aziende pubbliche o quasi (Eni, Gme per esempio) ed è difficile che gli uomini del Cavaliere lascino integri finanziamenti a organi di informazione di anti-Silvio. Poi ci sono i «finiani con arte ma senza parte». Come Luca Barbareschi che pur avendo frequentato le stanze di Farefuturo, non vuole stare con nessuno se non con Gianfranco. E con Gianfranco ma non schierati con nessuno sono anche due suoi fedelissimi di vecchia data come Donato La Morte e Francesco Proietti detto Checchino. Fuori dagli schemi subcorrentizi è soprattutto il Secolo, forse l'unico strumento di elaborazione progettuale che ha in questo momento a disposizione Fini. Il resto del dibattito interno si muove su questioni personali, un termine di dibattito che il giornale diretto da Flavia Perina ha sempre rifiutato. Non a caso ieri, nel rispondere alla proposta di Quagliariello di una voce unica in rappresentanza del Pdl in tv, il quotidiano si è mantenuto sul profilo politico. Insomma, l'area finiana sembra un guazzabuglio. E non siamo ancora entrati nel merito delle vicende. È ben difficile che tutta la minoranza resti unita sulla cittadinanza breve che piace tanto a Fabio Granata e a pochi altri. O sul testamento biologico che i senatori hanno già votato nella direzione contestata dal presidente della Camera. E siamo solo all'inizio.