Affari tra amici, indagato Verdini

Tutto si complica alle 14,06. L'agenzia Ansa batte la notizia: dopo l'avviso di garanzia ricevuto nell'inchiesta sulle Grandi Opere del G8, «Denis Verdini, uno dei coordinatori nazionali del Popolo delle libertà, è indagato dalla procura di Roma per corruzione nell'ambito dell'inchiesta riguardante un presunto comitato d'affari che si sarebbe occupato, in maniera illecita, di appalti pubblici, in particolare i progetti sull'eolico in Sardegna». I sospetti del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e del pm Rodolfo Sabelli ricadono anche su altri: il direttore regionale dell'Arpa sarda Ignazio Farris, il faccendiere arcinoto alle cronache giudiziarie Flavio Carboni, il costruttore Arcangelo Martino, il consigliere provinciale di Iglesias Pinello Cossu, e il magistrato contabile Pasquale Lombardi, già componente di commissioni tributarie. Le prime ombre su fatti e persone aleggiano nel 2008, in un'inchiesta avviata dalla Direzione distrettuale antimafia capitolina. Secondo i carabinieri del Nucleo investigativo di via In Selci, Flavio Carboni sarebbe l'ago che tesse le trame dei grandi affari sull'isola, riuscendo a legare gli interessi di imprenditori in cerca di guadagni coi politici giusti in grado di assicurare loro gli appoggi necessari al lieto fine delle operazioni. E Denis Verdini sarebbe uno di questi. Nelle intercettazioni dei carabinieri, infatti, sarebbero saltati fuori anche altri nomi eccellenti, come quello del senatore pdl Marcello Dell'Utri. E poi nomi di altri funzionari di ministeri e anche del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Altre pesanti congetture si aggiungono al castello di accuse. Per ungere il sistema sardo, gli imprenditori mettevano a disposizione dei politici somme di denaro fatte transitare su conti del Credito cooperativo fiorentino, banca di cui Verdini è presidente. Ieri i militari del Nucleo l'hanno perquisita alla ricerca delle tracce di un consistente numero di assegni dei quali si intendono accertare la provenienza e la destinazione.   Analoga ispezione è avvenuta nella sede fiorentina de Il Giornale della Toscana. L'ipotesi è che il denaro finisse in società satellite create, secondo gli inquirenti, proprio per pagare tangenti ai politici. Come è stato per le sigle facenti capo all'imprenditore Diego Anemone, come ricostruito dai magistrati di Firenze che conducono l'inchiesta sugli appalti per le Grandi Opere del G8, a Firenze e alla Maddalena. Un'altra brutta storia che gli inquirenti suppongono sia il segmento che unisce la nuova indagine romana alla prima fiorentina nella quale, da febbraio, Denis Verdini è già indagato, sempre per corruzione. Subito, attraverso dichiarazioni a distanza, il parlamentare esprime «totale estraneità ad ogni ipotesi di comportamenti penalmente o anche moralmente rilevanti e continua ad essere disponibile a favorire nelle sedi opportune il pronto accertamento della verità da parte della giustizia». Più tardi, a Montecitorio, si sfoga coi cronisti parlando di una «continua e sistematica» violazione del segreto istruttorio, definendo il sistema della «giustizia mediatica» un modo per colpire con lo «sputtanamento» chiunque abbia la sfortuna di finire nelle maglie della giustizia. Le precisazioni arrivano anche dal Credito cooperativo fiorentino. «È stata consegnata la documentazione richiesta e fornito chiarimenti sulla regolarità dell'operazione - si spiega - Non c'è stata alcuna perquisizione alla banca di cui l'onorevole Denis Verdini è presidente. L'autorità giudiziaria romana con decreto d'accertamenti bancari, ha domandato notizia riguardo la negoziazione presso l'Istituto di credito di assegni circolari. Nulla - continua la nota - è stato domandato o acquisito a riguardo ed a proposito di mutui in favore di parlamentari o rapporti economici con figure imprenditoriali quali Anemone, il quale non ha alcun genere di rapporto, di clientela o quant'altro, con il Credito Cooperativo Fiorentino, così come le persone a lui legate».