Il Roman Power annette Trieste

seguedalla prima (...) il presidente in caso di assenza è sostituito da suo vice più anziano, che secondo il disegno iniziale sarebbe stato Vincent Bolloré, finanziere bretone azionista di Mediobanca ma non di Generali. Adesso Caltagirone diviene di fatto il vicepresidente vicario a fianco di Geronzi. Il “roman power” del quale avevamo parlato due settimane fa trova un'altra conferma. Anzi, due. Geronzi sarà sì un presidente senza deleghe formali, ma così come Caltagirone entra nel comitato esecutivo (altra novità voluta dai soci industriali): cioè nell'organismo che delineerà le strategie e ratificherà le decisioni più importanti del primo gruppo assicurativo-finanziario italiano e terzo d'Europa. E, come ha commentato Bolloré, «Geronzi sarà un presidente con poteri, perché viene da Mediobanca e ha una rete formidabile di contatti, comunica bene, racconta gli obiettivi strategici, propizia alleanze». Non una presidenza "di campanello", dunque. La capacità del banchiere romano di "fare sistema", che poi altro non è che l'attitudine a districarsi tra i poteri della finanza, dell'industria e della politica, e soprattutto a coglierne le novità, viene consacrata in quella che per decenni è stata la più austera e nordista delle società italiane. L'altra conferma è l'ascesa di Caltagirone. In pochi giorni è diventato secondo azionista di Acea, scalzando i francesi di GdF-Suez nel ruolo strategico; e ha ottenuto ciò che voleva come azionista di rilievo nelle Generali. Dove, a fianco di Mediobanca, si è appunto rafforzato il gruppo dei partner cosiddetti privati – da Del Vecchio a Pelliccioli – tra i quali Caltagirone rappresenta in proprio il 2%, e l'1,5% del Monte dei Paschi di cui ha la delega come vicepresidente. Questi soci, che detengono una quota azionaria ormai pari a quella di Mediobanca, hanno deciso di agire in sintonia con l'istituto milanese, ma facendo valere il principio opposto alla celeberrima affermazione di Enrico Cuccia, quella secondo cui «le azioni si pesano e non si contano». Ebbene, per Caltagirone e alleati, imprenditori di vari campi del made in Italy, deve valere l'esatto contrario: le azioni si contano. E si conteranno sempre più. Il capovolgimento di quel troppo celebrato assioma di Cuccia si porta dietro parecchie conseguenze. La più immediata è che conta chi investe capitali e mette in gioco se stesso e le proprie aziende. La grande crisi finanziaria ci ha insegnato quanto questo sia essenziale, in termini di patrimonializzazione ed assunzione di responsabilità. Il "capitalismo senza capitali" arriva dunque fortunatamente al capolinea; ed è ovviamente un bene che ciò avvenga nella terza società italiana per capitalizzazione, la prima tra le private dietro Eni ed Enel. Per molti anni le Generali avevano vissuto su un paradosso: grazie alle continue ingegnerie finanziarie di Cuccia, il Leone è stato un colosso dai piedi d'argilla, con i piedi costituiti da Mediobanca e dal suo fragile azionariato a sua volta frammentato nella capacità e volontà di investimento, e diviso nelle strategie. Al punto (lo ha ricordato Bolloré) che Cuccia per risolvere le situazioni in bilico dovette spesso ricorrere all'aiuto non disinteressato degli "amici" francesi della Lazard. Insomma, il principale gruppo privato italiano ha vissuto per decenni ad autonomia limitata e racchiusa nei cosiddetti salotti buoni milanesi e negli alleati di turno d'oltralpe. Poteva funzionare (e male) negli anni Settanta o Ottanta, certo non nell'era della concorrenza globale e della moneta unica. L'esito più deteriore di questa distorsione l'abbiamo avuto però quando l'idea di Cuccia di poter controllare banche e aziende con pochi capitali e molte rendite di posizione si è spostata con le privatizzazioni a tavolino stabilite d Prodi: tutte le principali banche italiane (e anche utilities come Telecom e Acea) hanno dovuto chissà perché andarsi a cercare un "partner industriale" francese, tedesco, spagnolo. Con tanti saluti agli interessi strategici nazionali. Che questa situazione si stia capovolgendo proprio nelle Generali grazie all'iniziativa, al ruolo ed ai capitali di azionisti e manager basati a Roma non è, come si dice, un "segno dei tempi": è la fotografia di una realtà. Una realtà diversa da come la storia del capitalismo italiano scritta in modo pigro soprattutto al Nord ce l'ha finora raccontata. Marlowe