Il Cavaliere come Craxi non si lascia intimidire

Eccezionale. Se l'intenzione dei suoi critici nel partito e dei suoi avversari all'esterno, era di metterlo in qualche modo nell'angolo, di imporgli un cambiamento di passo, di obbligarlo ad un nuovo approccio alla politica, meno immediato, spontaneo e prorompente di quello mostrato all'esordio della sua avventura in questo campo, Silvio Berlusconi si è presa ieri una bella rivincita davanti alla direzione del suo partito. La cui riunione mi ha ricordato l'attesa, il clima e le emozioni -sì, anche le emozioni- dei più caldi e importanti congressi politici che mi é capitato di raccontare e commentare in quasi cinquant'anni di professione giornalistica, ma senza gli arzigogoli, le cortine fumogene, le manovre diversive, i messaggi più o meno cifrati e altre diavolerie di un tempo. Quando Gianfranco Fini si avviava a concludere il suo intervento, denso di critiche e attacchi diretti al presidente del Consiglio, mi sono ricordato delle volte in cui nei congressi dei vecchi partiti o nelle riunioni dei loro Consigli Nazionali o Comitati Centrali, o consessi simili, seguiva il solito oratore minore, in attesa di quello più importante, o la richiesta di una sospensione dei lavori per consentire al leader di turno e alle correnti e correntine varie di chiarirsi le idee e preparare risposte e difese. Ma Berlusconi non ha avuto bisogno né di comparse né di pause. Egli ha accettato e rilanciato immediatamente e personalmente la sfida, parlando fuori dai denti, gridando alte e forti le sue ragioni. La reazione del presidente del Consiglio al presidente della Camera, volontariamente sceso dal suo alto gradino istituzionale a quello più modesto di capo di un'infima minoranza del suo partito, irrisoria rispetto anche a quella che era la consistenza della sua Alleanza Nazionale nel momento in cui, l'anno scorso, confluì insieme con la berlusconiana Forza Italia nel Popolo della Libertà, mi ha ricordato il piglio e lo stile di due protagonisti della cosiddetta Prima Repubblica: Amintore Fanfani e Bettino Craxi. Che erano molto diversi fra loro, anche fisicamente, ma simili per capacità e rapidità di movimento: irriducibili nelle loro convinzioni e veloci come lepri nell'inseguimento. Fanfani si guadagnò giustamente da Indro Montanelli il celebre e fortunato soprannome di "Rieccolo" proprio per l'ostinazione con la quale sapeva tenere il campo e tornarvi ogni volta che sembrava esserne stato allontanato. Craxi, che rovesciò il Psi come un guanto, sottraendolo al complesso di inferiorità nei riguardi del Pci, osò sfidare e vincere ogni sorta di conformismo politico. E lasciò un segno indelebile alla guida del governo, il primo e sinora unico a guida socialista nella storia del Paese, non potendosi certamente definire tale quello fortunosamente realizzato nel 1998 da Massimo D'Alema: un "post-comunista" rifiutatosi con tutti i suoi compagni di identificarsi nel filone socialista della sinistra italiana, anche dopo la caduta del muro di Berlino e la liquidazione del Pci.   Il Berlusconi di ieri mi ha ricordato più in particolare, per stile, tempi e grinta, il Craxi del 1979, quando sventò la congiura della sinistra lombardiana nel Comitato Centrale del Partito Socialista,a meno di tre anni dalla sua elezione a segretario, o quello del 1984 e del 1985, quando sfidò il veto palese dei comunisti e quello surrettizio della sinistra democristiana, che pure era al governo con lui, contro i tagli anti-inflazionistici alla scala mobile, non lasciandosi intimidire neppure dal ricorso al referendum. Che vinse alla maniera sua, mettendosi personalmente in gioco alla vigilia del voto, così come Berlusconi non si lascerebbe certamente intimidire da un referendum che dovesse seguire ad una riforma della giustizia, non condivisa dall'opposizione. Vi ha significativamente accennato alla direzione del Pdl ieri, in polemica con le critiche e le preoccupazioni espresse proprio da Fini, il guardasigilli Angelino Alfano in un intervento che ha mandato Berlusconi in brodo di giuggiole.