segue dalla prima (...) centro, un po' cattolico e un po' laico.

Eche è? Il partito centrista italiano nato dalla rottura interna al Likud di centrodestra. E già, sono ipotesi (o le speranze) che si facevano sui giornali appena un mese fa. Oggi c'è una sola certezza: Silvio Berlusconi. E tutti gli altri che lo osannano, lo chiamano. Per esempio, Italo Bocchino. Il fedelissimo di Fini sembrava essere l'uomo che in gran segreto stava preparando la presunta scissione dal Pdl. A Berlusconi alcuni deputati hanno fatto il seguente ragionamento: «Quando Cicchitto va a fare la pipì e si assenta dall'aula, Bocchino è il capogruppo a tutti gli effetti. E lui che dà le indicazioni su come e che cosa votare. E a che titolo lo fa? In quanto Pdl o in quanto Generazione Italia?». Di qui l'esplicita richiesta di rimuoverlo da vicecapogruppo. Dopo il voto la voglia dei berluscones di vedere teste rotolare teste si è moltiplicata esponenzialmente. Ma il Cavaliere non è uno che si vendica. Pensa al concreto: chi è con lui bene, chi è contro ciccia. Bocchino, che tutto è tranne che stupido, intanto non ha mai usato frasi antiberlusconiane, lo ha sempre difeso in tv soprattutto sul fronte giustizia ed è sempre stato leale. Poi, nell'editoriale d'esordio di Generazione Italia, l'ha definito «un genio». Che non guasta. Ieri, nuova sortita: ha lanciato l'appello a Casini affinché si unisca. Ma non in una nuova formazione politica, bensì con il centrodestra. E anche questa, a suo modo, è la fine di un'epoca. Il leader dell'Udc si trova a rincorrere coloro che voleva combattere. Aveva lanciato la sfida alla Lega che, dopo il successo di Cota e Zaia, s'è lanciata alla conquista del mondo cattolico. Rutelli è ufficialmente disperso. Per commentare il voto ha voluto evidenziare il 4% in Basilicata o il 2% in Calabria. Ieri ha rilanciato il terzo polo e neppure Casini ha raccolto. Montezemolo rintanato visto che la Fiat è sempre più targata Marchionne e Confindustria sempre più stile Marcegaglia. Fini non è messo meglio. Gianfranco non è uno che ama tanto chiamare. Preferisce essere chiamato. Stavolta no, ha alzato la cornetta e s'è complimentato con Berlusconi per il risultato elettorale ottenuto. Il Cavaliere è stato piuttosto freddo così Gianfranco s'è fatto risentire per gli auguri di Pasqua. Il punto è proprio questo. Il premier non vuole aprire altri tavoli, riunioni, faccia a faccia, incontri. Niente più pranzi con alleati (eccezione per Bossi martedì) e trattative infinite per decidere. Non vuole nemmeno parlare, infatti dal dopo voto non ha ancora fatto una dichiarazione davanti a una telecamere e uscendo da Villa Certosa (ha controllato i nuovi terreni e i progetti per nuovi villini) ieri pomeriggio ha driblato i giornalisti: è partito per Milano dove oggi pranzerà con le figlie Barbara e Marina. Vuole che gli italiani sappiano che avverte il peso della responsabilità e sta agendo, arriveranno risposte. In questi giorni ha ripetuto più volte che «siamo come nel '94. l'Italia ha scelto noi perché siamo quelli del fare. Non c'è più tempo per le chiacchiere». E non è un caso che abbia ristabilito il rapporto con Giorgio Napolitano. Con colui il quale, il 20 maggio del '94, dopo un suo intervento in Aula venne omaggiato dall'allora neopremier, Silvio Berlusconi. Il Cav uscì dai banchi del governo e gli andò a stringere la mano, come gesto di distensione e di apertura di una nuova fase costituente. Tanto che proprio Napolitano, dopo quel caso di sedici anni fa, commentò: «Non si tratta di lanciare ponti ma di ricercare intese su basi assai larghe perché questo è lo spirito della Costituzione, questo è il modo per rivederla». Oggi tra i due s'è stabilito un rapporto diretto, senza più la mediazione del presidente della Camera. Non ci sono più scuse, si presenterà senza annunci ma con qualcosa di realizzato. «Altrimenti - ha ripetuto spesso in questi giorni - gli italiani non capirebbero». Fabrizio dell'Orefice