C'è aria di "pacificazione" dopo il punto di non ritorno che si è toccato domenica scorsa? Sembra di sì, almeno a giudicare dal volo delle "colombe" nei cieli della politica.

Neppurealle elezioni anticipate che, comunque, non risolverebbero i problemi sul tappeto ed acuirebbero il conflitto. Parlarsi, confrontarsi, in Parlamento e fuori, è già qualcosa, ma non basta. È necessario che tutta l'opposizione democratica e tutta la maggioranza riconoscano che soltanto sul terreno delle riforme è possibile l'incontro e, dunque, il mutamento di clima. Berlusconi ne è convinto e le sue parole, dopo la degenza in ospedale, non lasciano spazio ad equivoci. A questo punto, se tutti offrono la loro buona volontà affinché la legislatura, dopo il faticosissimo inizio, diventi "costituente" com'era nella premesse, sarebbe opportuno che nessuno si arroccasse a difesa della propria lista di istituti da riformare. C'è bisogno di ben altro affinché si trovi, come dice Casini, «una via d'uscita all'eterna transizione italiana». Il leader dell'Udc immagina una «riforma dello Stato». Ne conveniamo. E ci permettiamo di aggiungere che l'ambizioso progetto non può concretizzarsi con il solito ricorso alle modalità previste dall'articolo 138 della Costituzione. Se, come sembra, s'intende procedere alla indispensabile revisione della seconda parte della Carta, la citata disposizione è inadeguata perché essa deve ritenersi limitata alle ipotesi di modifiche specifiche del tessuto normativo, tali comunque da non incidere sugli aspetti fondanti dell'ordinamento che è proprio ciò di cui si ha bisogno. Infatti, quando si parla di riforma integrale della seconda parte della Costituzione, s'intende intervenire sulla forma di Stato, con particolare riguardo ai rapporti tra poteri centrali e locali e a quelli tra i cittadini e le pubbliche amministrazioni, e sulla forma di Governo, ridisegnando quindi le attribuzioni del capo dell'esecutivo e perfino l'elezione di questi, oltre alla ridefinizione dei rapporti con il potere giudiziario e quello legislativo. Il Parlamento non è il "luogo" dove la vasta e complessa materia può essere affrontata con il solo ed inadeguato strumento dell'articolo 138 per le ragioni richiamate, dunque. Occorre, perciò, un'Assemblea costituente, eletta a suffragio universale, con metodo rigorosamente proporzionale, che abbia la chiara finalità di ridisegnare i nuovi assetti costituzionali e rinnovare il patto tra governati e governanti. Per questo l'intervento diretto dei cittadini alla determinazione di un organismo, limitato nel tempo e nel mandato, può essere decisivo per ricomporre la frattura tra società civile e società politica. La legittimazione della possibile nuova Carta dei diritti e dei doveri, dei poteri e delle soggettività diffuse, dell'amministrazione centrale e degli enti locali, deriverebbe direttamente dal popolo attraverso le sue rappresentanze partitiche, specchio di interessi ed ideali, aspirazioni e sensibilità civili e culturali. Il fatto che negli ultimi giorni qualcuno ne abbia riparlato, ricordando come nelle ultime tre legislature siano state presentate proposte di legge per l'elezione appunto di un'Assemblea costituente, è il segno che una vecchia idea, oltretutto suggestiva dal punto di vista della partecipazione popolare, possa fare breccia nel lacerato tessuto politico italiano allo scopo di contribuire a risanarlo. C'è spazio quantomeno per discuterne?